Per anni la guida dell’Italia è stata appaltata ai sondaggi e ai sondaggisti. I leader dei partiti, come ristoratori confusi, proponevano menù con troppe ricette per troppi palati. Mentre ciò avveniva il ristorante perdeva soldi, gli sprechi di cibo erano alti, i clienti diminuivano. Nello stesso piatto si servivano tranquillamente aragosta e patatine fritte.
L’incapacità della politica di fare le proprie proposte ha spianato la strada ad una leadership dei sondaggi in cui la followership non era più interazione tra leader e follower, ma la suborinazione virtuale dei primi ai secondi.
Nel 2000, in Italia, si è iniziato a parlare di Sondaggiocrazia. Secondo la definizione datane dall’Enciclopedia Treccani la s. è il primato assegnato ai sondaggi come strumenti validi di individuazione delle opinioni diffuse nella società e di orientamento per l’azione della politica.
Prima con Berlusconi e poi con tutti gli altri principali partiti, le indagini demoscopiche sono state il punto di partenza per l’elaborazione di un racconto politico che fosse disegnato sulla volontà dei cittadini. In questo Berlusconi, nell’utilizzo dell’informazione a proprio vantaggio, è stato il migliore. Un pochino peggio è andata a quei leader che, plasmati da un consenso virtuale, hanno percorso strade nuove senza essere in grado di convertire il potenziale (% secondo i sondaggi) in potere (voti alle urne).
Così mentre i partiti si contendevano lo scettro del realismo politico, prendeva piede nel Paese un nuovo movimento guidato da un comico ligure. Questo neo movimento – a differenza di quanto si possa credere – faceva (e fa) esattamente ciò che facevano (e fanno) la maggior parte dei partiti: usa l’opinione pubblica e la demagogia per alimentare il consenso. Con una differenza: se i partiti si affidavano ai sondaggisti per rilevare l’umore della popolazione su certi argomenti, il Movimento usava (e usa) Internet. Più dati, in meno tempo. Se fosse una competizione tra aziende parleremo di vantaggio tecnologico. La demagocrazia si maschera da democrazia della Rete.
Il Movimento usa la Rete come strumento di analisi degli stati d’animo della “Gente” (rilevazioni non filtrate da sondaggisti o soggetti terzi); usa questi dati come strumento di influenza dell’opinione pubblica attraverso portali di informazione che fanno della viralità un fine e un mezzo; usa la Rete come medium principale e, per un certo periodo, esclusivo.
Su questo vantaggio tecnologico il M5S è riuscito ad essere il soggetto populista più credibile.
Tornando al presente è evidente che giudicare un Governo o un Primo Ministro prima ancora che questo nasca e faccia qualcosa è uno sport perfetto per chiunque nutra un pregiudizio. A Matteo Renzi, oggi, va però riconosciuto un merito: quello di essersene fregato dell’80% degli italiani (sottoscritto incluso) che ritenevano sbagliata una staffetta senza passare dalle urne.
Così come il confine tra coraggio ed arroganza è sottile, lo è anche quello tra una scelta politica giusta e una errata. Di sicuro, quella di Renzi, è stata una scelta indipendente dai sondaggi. Una scelta di conduzione, di leadership. E se la rottamazione culturale della sondaggiocrazia proseguirà e riuscirà, il Pd di Matteo Renzi sarà destinato – almeno per gli anni che vengono – ad essere un partito in grado di creare una nuova domanda politica a partire dalla propria offerta.
(pubblicato su The Front Page)