Oggi torna Matteo Laurenti (grazie!) con un articolo sul lavoro…da Lama a Renzi…ed e’ ancora austerity!
“Cominciare dalla congiuntura per fare le riforme significa non farle mai”.
(Luciano Lama; Rinascita, n. 27, 3 luglio 1970)
“Voglio solo ricordare che quando si iniziò un reale colloquio con i sindacati, nel
febbraio del ’69 con la discussione delle pensioni, io scrissi al presidente del consiglio,
on. Rumor, e gli dissi: “Tratta tutto, non trattare solo le pensioni, metti tutto sul
tappeto. Informa i sindacati della situazione reale e dell’economia e discuti tutto”.
(Ugo La Malfa; da Il sindacato nella crisi italiana, di Luciano Lama, 1977)
La “non sfiducia” come formula politica a favore di un più forte Stato democratico, l’ha inventata il Partito comunista, in Italia, per garantirsi una solidità istituzionale di fronte all’allora unico metro di paragone della crisi economica attuale ed alla sua soluzione, quella che venne formulata come “politica dei sacrifici”. Sacrifici non marginali ma bensì sostanziali. (cit.)
La allora austerity come categoria esistenziale. Onorata e pontificata dal PD. Ed è per questo che il 17 febbraio 1977, il PCI strumentalizzò Luciano Lama, segretario della Cgil, mandandolo di fronte al plotone di autonomi e studenti all’università La Sapienza di Roma.
Ai primi di dicembre del 1976 infatti il ministro della Pubblica Istruzione Malfatti presentò una circolare che cancellava una delle conquiste del ’68: la liberalizzazione dei piani di studio. Vennero annunciate anche l’abolizione degli appelli mensili e l’aumento delle tasse.
La figura produttiva del lavoro immateriale, lo studente universitario, prese a bastonate il servizio d’ordine di Lama e le figure produttive che lui veneravano come una statua di Stepan Erzya e cioè, i comunisti produttivi disattesi dalla svolta dell’EUR.
Il Partito Comunista italiano calò l’asso di bastoni su un tavolo come quello di una contestazione interna diametralmente opposta a quella pacifica del ’68. E lo fece con la faccia di un infastidito Luciano Lama che quel mattino, in fondo, intervenne per sbrigare una pratica o poco più. Rispetto a quello che c’era veramente in gioco sul tavolo ovviamente. E cioè il cambiamento della linea e dei fedeli. Il contenimento salariale messo sul piatto per vedere una politica economica che sostenesse lo sviluppo e difendesse l’occupazione. Luciano Lama bluffava?
Certo fu molto arrogante e il PCI estremamente cinico come di prammatica. O forse Lama non sapeva davvero chi (o cosa) ci fosse al tavolo con lui.
Nel suo messaggio alla nazione del 2011, il nostro presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, richiamò i sindacati alla responsabilità nazionale e a farsi carico dei sacrifici e della crisi. Più o meno quello che ha fatto per tutta la vita. Susanna Camusso invece è dal 2010 che ripete il suo mantra. Senza investimenti, si sceglie di produrre precarietà. Il granitico concetto dello spostamento sui lavoratori (dipendenti) di accollarsi i rischi di chi non sceglie di fare impresa.
Lama a differenza della Camusso poteva però contare su altre categorie esistenziali.
Battersi a favore di un lavoro garantito, solidamente ubicato in quattro mura ed in cui il concetto spazio temporale dei contratti di discuteva in merito a quando si iniziava al mattino e quando si finiva la sera, possibilmente nello stesso luogo.
La leva della rappresentanza c’era ed era assai temperata e nei congressi si discuteva come mettere in pratica nelle aziende i contratti discussi e firmati e non se la corporativa Fiom (da sempre a destra della Cgil) dovesse una buona volta smettere di contestare i documenti unitari che firmava al mattino e negava alla sera.
Evitando di peso la sterile polemica Scalfari – Camusso (sull’eredità di Lama) di qualche anno fa ed il susseguirsi di presidenti del Consiglio nominati, rimangono un problema ed una considerazione in merito alle specularità Crisi economica – (dis)occupazione giovanile, di allora e di oggi, rispetto alla bozza del Jobs Act di Matteo Renzi.
Renzi vuole che i giovani lavorino.
E nella fattispecie ha fatto suo il mantra operaistico proprio degl’ anni ’70: “Lavorare meno, lavorare tutti”.
E per farli lavorare è disposto a dichiarare: “Io penso ai ragazzi. Non ai sindacalisti”.
Quindi, Susanna Camusso, non può che essere preoccupata che una persona possa essere assunta o licenziata senza alcuna ragione e senza alcuna causa. Più o meno come il PCI si preoccupò quando vide bruciare davanti ai suoi occhi 400.000 tessere di iscritti tra il 1977 ed il 1989.
Ma è disposta a discutere sulla tipologia di un contratto unico, magari scrivendolo davanti a uno specchietto retrovisore. Salvo poi ritornare in sé e realizzare che non esiste neanche una pallida ombra di concertazione.
Luciano Lama incarnò l’unità nazionale tra l’ Impresa e La Produzione.
E come tale si mise in gioco. Salvo poi non capire quello che si trovò di fronte quel giorno alla Sapienza, la meglio gioventù. Ora Susanna Camusso si trova tra le mani l’ennesima grande sconfitta dopo l’ennesima grande vittoria. La battaglia del 2003 sull’ art. 18. Renzi, essendo messo dove è ora da Napolitano, esegue definitivamente quello che Re Giorgio iniziò nel 1977. Solo una cosa non quadra. Lama rappresentava una società ed il suo radicale dissenso e cambiamento. Susanna Camusso…che cosa rappresenta?