Rispondo all’articolo scritto da Luca Telese con il mio – e non solo – punto di vista su cosa sia prioritario tagliare tra due delle più pesanti tasse italiane: IRAP ed IRPEF.
Come dice bene Telese, Renzi ormai si è inimicato sia CGIL che ConfIndustria, cosa che probabilmente suona da medaglia al valore in quel perverso gioco politico che è l’Italia, ove i rappresentanti di interessi diffusi tra le classi sociali sono perlopiù visti come degli organi di potere autoreferenziali.
Anche se nella realtà più pragmatica – e meno romantica e populista – un minimo di intesa serve sempre per creare meno tensioni sociali. Perchè QUALSIASI riforma scontenterà sempre qualcuno. Anche la migliore (tutto è relativo) non farà felice qualche ordine professionale o categoria sociale. Per questo Renzi necessita di un rapporto almeno di “non odio” con i rappresentanti delle due vetuste corporazioni con più voce in capitolo in materia di fisco e lavoro.
Squinzi, che non è certo il mio ideale presidente di Confindustria, ma che è comunque persona intelligente ed abbastanza oggettiva, rimarca con forza che la priorità è quella di tagliare il cuneo fiscale e quindi l’IRAP. Ossia l’insensata tassa sui costi del lavoro, che rende le buste paga a monte costosissime rispetto agli altri paesi europei (e non solo), a fronte di stipendi netti agli operai e dipendenti che sono molto più bassi dei corrispettivi stranieri.
E’ probabile che un taglio dell’IRAP possa fare piacere agli iscritti di Confindustria e che quindi questa sia la solita difesa di corporazione da parte di Squinzi.
Ma il costo del lavoro è ciò che più indebolisce il nostro paese rispetto ai big competitors europei Germania e Francia.
E’ ciò che, una volta risolto insieme ad aumenti di produttività dati da altri fattori, può riportare le nostre imprese a farcela, a sopravvivere, ad investire di più in capitale fisico ed umano, ad acquistare fette di mercato maggiori e, non irrilevante, ad assumere. Nonchè in un futuro non troppo lontano ad aumentare gli stipendi (netti). Infine, non cosa da poco, una volta attuato il taglio ed ottenuti gli effetti positivi, zittire una parte del fronte sempre più in crescita dei populisti antiEuro.
Quindi, un taglio dell’IRAP farebbe bene al SISTEMA PAESE: in un primo momento alle imprese e ai suoi lavoratori ed imprenditori, al know how del sistema produttivo italiano che godrebbe di maggiori risorse per tornare ad investire ed infine ai disoccupati, che – in parte – non lo sarebbero più per le nuove assunzioni.
Mentre un taglio dell’IRPEF sarebbe solo una buona cosa nel cosiddetto periodo 1: chi già lavora avrebbe maggiori risorse immediate in tasca per potere consumare.
Ci sarebbe sì una (leggera?) ripresa dei consumi, però questi sono già molto distorti in negativo da altre folli tasse, come le accise sui carburanti, l’IVA perennemente in crescita, bollette enormi per mercati poco liberalizzati, ecc.
E, come ha scritto Luca Telese, è probabile che i nuovi inquantificabili consumi (oltre alle distorsioni già viste contano le aspettative e la fiducia dei consumatori) vadano – maggiormente – verso beni importati dall’estero.
Diciamo quindi che un taglio all’IRPEF converrebbe solo a chi già un lavoro ce l’ha e vuole consumare di più. Mentre un bel taglio PERENNE e coperto dai risparmi PERMANENTI dati dalla spending review&simili (e non quindi da nuove e fantasiose tasse) sarebbe un’azione fatta nell’interesse di tutti e con effetti più permanenti.
Inoltre, un taglio dell’IRPEF fatto ora porterebbe consenso facile da un certo settore nei pressi delle elezioni europee, mentre il taglio IRAP sarebbe la famosa mossa “da statista che guarda alle prossime generazioni anzichè alle elezioni” di De Gasperiana memoria.
Poi, se una volta tagliata in modo molto consistente l’IRAP, Renzi&Padoan vorranno – e potranno – tagliare anche l’IRPEF, ben venga.
Sarò il primo a festeggiare stappando una buona bottiglia di prosecco di qualche azienda agricola veneta esportatrice, salvata e tornata al successo grazie al primo necessario taglio all’IRAP.