E’ molto strano come a volte si pieghi la realtà dei fatti in una visione particolare della realtà.
Ad esempio, “immobilismo” è la parola del momento: eppure l’impressione è che negli ultimi anni la politica e la società italiana sia siano mosse, anche in fretta, cambiando moltissimo. Solo che siamo cambiati in peggio: chiamare questo cambiamento “immobilismo” è un modo per nascondere le responsabilità di chi ha governato questo peggioramento.
Basta un piccolo esercizio di memoria per rendersene conto.
Sin dalla fine del 2° governo Berlusconi, quello della più grande maggioranza mai ottenuta dall’avvento della Repubblica, si sente dire che il nostro sistema di governo e di produzione di norme, basato sul bicameralismo perfetto, è inadeguato, lento (“immobilismo”!).
Più o meno dallo stesso periodo, a pochi anni dalla riforma Costituzionale degli enti locali voluta dalla Lega, sostenuta da tutti e scritta dall’on. Bassanini, che “delocalizzava” molte competenze a favore delle Regioni, si parla dell’eccesso di livelli burocratici, alla pletora di enti che intervengono in ogni campo, rallentando e impastando le azioni intraprese dai cittadini, dalle aziende o dagli enti stessi.
Eppure, tutte queste pastoie, tutti questi doppi passaggi, tutti i livelli di potere che si interfacciano in un dedalo di carte e dirigenti, non hanno fermato progetti, iniziative e sprechi. Per quanto l’ex-cavaliere si lamentasse dell’impossibilità di governare, non mi ricordo che ciò abbia impedito l’emanazione delle leggi ad-personam (una su tutte: la cosiddetta ex-Cirielli) a suo favore, né che queste leggi siano state approvate in tempi particolarmente lunghi (Lodo Alfano: 20 giorni per essere approvato). Così come sono stati emanati dei decreti per salvare l’Ilva, prima che fosse la magistratura ad intervenire e scoprire colossali evasioni fiscali e investimenti in sicurezza non realizzati. O la Legge Fornero, emanata in 16 giorni che ha cambiato il panorama previdenziale di un’intera nazione. Come, poi, dimenticare la TAV Torino-Lione: una macchina di governo così lenta sarebbe già crollata sotto la tenacia dei comitato No-Tav: invece, il treno della discordia verrà realizzato. Potrei continuare, ma basta ricordare l’abuso nell’utilizzo della decretazione d’urgenza per far digerire al Parlamento e al Paese le norme più improbabili, che dopo anni vengono annullate dalla Corte Costituzionale.
Ma oggi bisogna fare, cambiare, questo è il mantra!
Anche a livello di amministrazione locale potremmo fare una lunga lista di interventi portati avanti dalle Giunte Regionali con decisione e sussiego: i rallentamenti affiorano quando le proposte avanzate o sono di scarsa qualità o non rispondono alle esigenze di chi chiede un intervento. Insomma, i problemi e le lungaggini solitamente emergono quando i cittadini sono contrari con i progetti piovuti dall’alto o, ancor peggio, quando è bene rallentare un iter per far cadere il peso di una norma sull’amministrazione successiva.
Ma oggi bisogna fare, cambiare, questo è il mantra!
er carità, potrei sbagliarmi, non mi pare che il problema del Paese sia quello di rendere più snello l’iter normativo: abbiamo così tante leggi che piuttosto sarebbe il caso di impedire che ne vengano prodotte delle altre.
Eppure l’attenzione dell’informazione e dei opinion-leader è lì, sul processo di creazione normativa, anche perché il nominato governo Renzi ha puntato molto sulla riforma del Senato. Come se da quella riforma, tutto poi venisse a cascata.
Dopo una pessima riforma elettorale (ci saranno ancora i nominati!), e una altrettanto modesta riforma delle Province (vedremo cosa accadrà quando arriveranno i decreti attuativi per città metropolitane e comuni!) che deve ancora diventare legge Costituzionale, ora il premier Renzi cerca di depotenziare il Senato, rendendolo non elettivo (altri nominati allo sbaraglio) con funzioni, fondamentalmente, di organo di controllo. I risultati, secondo diversi giuristi (non giornalisti, ma giuristi) è un ibrido senza arte né parte che rischia di rendere più lento, e non più celere, molte procedure legislative. Sarebbe bastato osservare e prendere spunto da quello che fanno gli altri paesi, dove il Senato o non esiste (esempi europei: Finlandia, Danimarca, Svezia, Grecia, Lussemburgo) o se solo espressione degli organi federali (in Europa: Austria, Belgio, Germania) o compie azioni di controllo (Inghilterra). Insomma, esempi se ne trovano, a volerli cercare.
Da queste valutazioni derivano le proteste dei “professori” dileggiati prima da Renzi e poi dal ministro Boschi. C’è da dire che Rodotà, Secchi e Zagrebelsky il diritto a commentare se lo sono guadagnato negli anni: si può dire lo stesso dei nominati Renzi e Boschi?
Forse dietro la riforma c’è un disegno più lungimirante, che parte da una modesta riforma del Sentato per arrivare ad un più ampia riforma delle istituzioni.
Ma se un governo di nominati può vantare tanta lungimiranza, che scopra le carte, che lascia almeno intendere. Sì perché se le premesse sono queste, premesse sul metodo di lavoro più che su i risultati, aver fiducia in loro è un atto di fede, come una battaglia del bene (i riformisti) contro il male (i conservatori). Già Berlusconi aveva usato questi argomenti, con scarso successo. E non è un precedente incoraggiante.