Cos’è il crowdfunding?
Il crowdfunding può essere definito come uno sforzo collettivo da parte di molti individui che creano una rete per mettere in comune le proprie risorse al fine di sostenere gli sforzi messi in atto da altre persone o organizzazioni. Di solito, ciò avviene tramite Internet o comunque con l’ausilio della rete. I singoli progetti ed imprese sono finanziati con piccoli contributi da un gran numero di individui, consentendo ad innovatori, imprenditori e titolari di aziende di utilizzare le loro reti sociali per il reperimento di capitali.
Fonte: A Framework for European Crowdfunding (2014)
I primi passi…
Iniziamo da un dato significativo: secondo la Commissione Europea, in Europa ci sono 20 milioni di piccole e medie imprese (PMI) con un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro o con meno di 251 dipendenti. Nel 2012, esse hanno dato lavoro a 90 milioni di persone, vale a dire oltre i due terzi di tutti i posti di lavoro in Europa. Esse hanno inoltre prodotto quasi il 60 per cento della produzione non finanziaria del settore privato regionale. Si potrebbe dunque immaginare che la constatazione della loro sopravvivenza economica rappresenti un obiettivo importante. Eppure, queste aziende trovano sempre maggior difficoltà nel trovare i finanziamenti di cui hanno bisogno per andare avanti.
Non mancano i sostenitori – si pensi, ad esempio, all’ultimo rapporto del Forum Economico Mondiale tenutosi a Davos, presentato nel 2014, cui noi abbiamo dato il nostro contributo – impegnati a suggerire i diversi modi per promuovere l’imprenditorialità in Europa. Per quanto si cerchi di incoraggiare il prosperare delle PMI, è più che probabile che ciò abbia solo un impatto minimo fintanto che tali aziende si vedranno costrette ad affidarsi alle banche per i finanziamenti esterni, e i dati pubblicati dalla Commissione Europea nel 2012 rivelano che un abbondante 80% di tutto l’accesso al capitale continua a derivare dalle banche.
Ecco perché negli ultimi due decenni l’impulso dato dal governo dell’UE è stato molto forte in favore di maggiori forme alternative di finanziamento, quali il capitale di rischio e un mercato azionario più attivo. In questa prospettiva, il Parlamento dell’UE guarda al crowdfunding, o finanziamento collettivo, come a una forma di finanziamento alternativa potenzialmente promettente.
Fonte: http://startwerk.ch/2010/07/16/crowdfunding-ist-bald-jeder-ein-business-…
Settore relativamente nuovo – e dunque relativamente sconosciuto – il crowdfunding si presenta, in effetti, sotto diverse forme, tra cui:
- Donation-based, cioè basato sulla donazione e senza ritorno economico
- Peer-to-peer
- Peer-to-business
- Invoice trading
- Equity-based, cioè basato sul capitale di rischio
Per il 2011, le stime parlano di oltre 300 milioni di € raccolti in Europa tra i vari tipi di crowdfunding, vale a dire una cifra pari ad un terzo del mercato mondiale.
L’UE guarda all’equity crowdfunding come ad una potenziale nuova forma di finanziamento per le PMI, in quanto consente alle aziende nella loro fase iniziale di vendere azioni agli investitori. Ciò è a maggior ragione importante se si vuole raggiungere l’obiettivo di creare più imprese basate sull’innovazione, così come descritto nel piano Europa 2020. Se da una parte l’intento di dar vita a questa realtà già trova riscontro nelle prime relazioni programmatiche dell’UE, dall’altra i quadri fiscali e normativi atti a facilitare l’accesso alle piattaforme di crowdfunding sono ancora in fase di discussione, con svariati ostacoli da affrontare, ancora in larga parte irrisolti.
Sebbene per il momento si tratti ancora di realtà di piccola entità, si sta assistendo in tutta Europa a una rapida crescita di questi particolari tipi di crowdfunding. Ad esempio, nel 2013 il mercato della Germania ha raggiunto i 15 milioni di euro e quello del Regno Unito si è piazzato a quota 28 milioni di sterline. Nonostante ciò, i rispettivi tassi di crescita – seppure da un livello di partenza molto basso – si sono attestati a 348% e 371%, rispettivamente.
Qual è, dunque, la dimensione del mercato di equity crowdfunding in Italia? Nulla, assolutamente nulla.
E la ragione non è che gli italiani non siano abbastanza coraggiosi da avviare delle proprie piattaforme di crowdfunding, tanto è vero che ne esistono già due attualmente attive –- Starsup e Unicaseed . Il problema è che esse si trovano a dover ancora completare la loro prima fase di finanziamento. Come si è accennato, l’ostacolo non sta in una mancanza di spirito imprenditoriale da parte degli italiani, bensì è il risultato del contesto giuridico, che si muove assai più lentamente rispetto alla necessità degli imprenditori di accedere al capitale.
Nonostante il paese sia stato tra i primi a stabilire delle norme atte a promuovere l’equity crowdfunding, a tutt’oggi la nuova legislazione ha al massimo aperto la strada a delle discussioni, portando all’attenzione dei riflettori questo settore emergente. Per il resto, tuttavia, si è fatto davvero poco per avviare un settore che potrebbe portare un po’ di ossigeno alla stanca economia italiana.
Fonte: http://lrfuller.wordpress.com/2013/02/28/guest-post-3-campaign-conceptin…
Un ulteriore aspetto di inadeguatezza della legislazione vigente è che l’equity crowdfunding resta confinato alle start-up “innovative”, con conseguente forte limitazione della portata di mercato delle start-up investibili, precludendo a molte altre PMI che hanno bisogno di finanziamenti la possibilità di sfruttare questa fonte di finanziamento.
Inoltre, la legislazione stabilisce che degli investitori professionali debbano detenere delle azioni negli investimenti realizzati dalle piattaforme di crowdfunding. Ciò è certamente venuto ad aggiungere una pesante dose di complicazioni nel processo di finanziamento, le quali si traducono sia in costi monetari che di tempo, tanto per le start-up quanto per le piattaforme stesse.
Il crowdfunding è un utile strumento di diversificazione dell’accesso al capitale, e le esperienze che ci arrivano dall’estero (soprattutto dagli USA) dimostrano come esso potrebbe avere un forte impatto, dando vita ad un nuovo modello aziendale per molte imprese giovani. L’Italia ha dato prova di possedere uno spirito imprenditoriale per il fatto stesso di aver avviato delle iniziative in tal senso ed istituito dei portali di tutto rispetto, tuttavia il diavolo si nasconde nei dettagli delle norme, che continuano a dimostrare una distanza inesorabile da quelle che sono le esigenze dell’economia reale.
N.B. La versione originale di questo articolo e’ apparsa su Harvard Business Review Italia, scritto da Terence Tse e Mark Esposito