Ci avviciniamo al voto europeo, che quest’anno sembrava una cosa piu’ seria (leggi: piu’ democratica), dato che i principali partiti hanno indicato i loro candidati per la presidenza della Commissione europea. E invece no: anche per la UE si prospetta il rischio ‘grande coalizione’.
Molti elettori si asterranno, e molti sceglieranno partiti euroscettici (ossia, contro l’integrazione europea) o eurocritici (ossia, a favore di un’Europa diversa e possibilmente migliore). I due maggiori partiti, Popolari (PPE) e Socialisti (PSE), potrebbero cosi’ trovarsi a braccetto in una ‘grande coalizione’ europea. Si faccia caso ai nomi dei candidati: per i Socialisti, Martin Schulz, un socialdemocratico tedesco; per i Popolari, Jean-Claude Juncker, un Cristiano sociale lussemburghese, gia’ presidente dell’Eurogruppo (2005-13) e molto vicino alla CDU di Angela Merkel. Ci avviciniamo ad un’UE alla tedesca? E soprattutto, un’UE in salsa ‘grande coalizione’, come la Germania di Angela Merkel, che propone da anni (2005-09 e di nuovo dal 2013) quel modello? Stiamo per andare a votare una Grosse Koalition all’europea? Speriamo di no, soprattutto per lo stato delle nostre democrazie.
Democrazie e grandi coalizioni vanno d’accordo? I politologi qui sono silenti. Perche’? Non sembra un tema da poco. Qualche anno fa Larry Diamond (Stanford) ne aveva scritto, ma a proposito dell’Indonesia. E forse faceva bene, visto che quella parte del mondo oggi e’ piu’ importante della nostra…
In generale, siamo d’accordo che le ‘grandi coalizioni’ nacquero per i momenti di profonda crisi (guerre, depressioni, etc.). La Gran Bretagna ad esempio ebbe un governo di ‘unita’ nazionale’ nel periodo di guerre mondiali e ‘grande depressione’; la Germania, durante la sfortunata esperienza della Repubblica di Weimar (1923 e 1928-30). Ora pero’ la ‘grande coalizione’ pare diventata norma. Ammettiamo che possa avere un senso in paesi con profonde fratture sociali, economiche, culturali, linguistiche; quelli definiti da Lijphart a ‘democrazia consociativa’ (ad esempio, Belgio o Paesi Bassi); un’idea, quest’ultima, di per se’ criticabile e spesso male applicata; si vedano ad esempio le riflessioni di Bartolini: 06.Stefano Bartolini – Centro Studi Parlamentari. Ma perche’ dobbiamo tenercela in Italia o addirittura accoglierla a braccia aperte in Europa? Sospettiamo che ‘grande coalizione’ e democrazia non possano andare molto d’accordo.
Anzitutto, c’e’ un problema di accountability. Mettiamo che l’elettore Tizio voti un candidato di Sinistra. Se ne’ Sinistra ne’ Destra vincono, probabilmente si alleeranno. Che cosa ne sara’ allora dei programmi per cui Tizio aveva votato Sinistra? Come potranno questi ultimi giustificare eventuali (e prevedibili) cambiamenti di rotta? I Liberal democratici del Regno Unito ottennero il 23% dei voti alle elezioni 2010, ma la loro (piccola) coalizione con i Conservatori, percepita come un tradimento, ne ha fatto precipitare reputazione e sostegno. Oggi, secondo i sondaggi, non andrebbero oltre un misero 9%. Essere accountable e’ una cosa seria; non puoi fare una campagna di destra e finire a sinistra, o viceversa. Questo e’ un principio generale, che non puo’ valere solo in una democrazia ‘competitiva’ (come quella Britannica), ma anche in contesto piu’ consensuale o consociativo, come puo’ essere quello italiano o europeo.
Accountability a parte, c’e’ poi un problema di competizione (o mancanza di). Difficile che riforme coraggiose vengano messe in atto, al livello UE come dei vari paesi, quando un obiettivo piu’ o meno dichiarato e’ quello di accontentare tutti. La ricerca di un consenso unanime ha sempre ostacolato il processo di integrazione europea, cui gli inglesi hanno tradizionalmente opposto barriere (con il sostegno USA), ben approfittando dell’irresolutezza tedesca e della fondamentale mancanza di volonta’ francese. Al gioco degli interessi nazionali si aggiunge ora quello di una ‘destra’ che sostiene il rigorismo tedesco e di una ‘sinistra’ che fatica a trovare alternative plausibili. Il compromesso al ribasso rischia poi di irritare ancora di piu’ gli elettori moderati, che ad un certo punto potrebbero rivolgersi alle opposizioni – di ‘destra’ o ‘sinistra’. Queste ultime avrebbero buon gioco ad attaccare l’establishment, l’elite, la casta, e le sue presunte (o reali!) collusioni.
Il rischio collusione c’e’. I partiti si coalizzano per ‘fare le riforme’ o difendere lo status quo? O, peggio ancora, difendere privilegi? Il tema andrebbe approfondito. Lorenzo Viviani (Universita’ di Firenze) ne ha accennato, in L’Europa dei partiti (2009; vedi http://books.google.co.uk/books?id=SWLo3jbz2rgC&printsec=frontcover&sour…). I maggiori partiti europei, PPE e PSE, avrebbero tradizionalmente colluso, e una tendenza alla grande coalizione sarebbe gia’ piu’ che probabile da qualche tempo. Dobbiamo prepararci ad un’Europa gattopardesca in cui si cambia tutto per non cambiare nulla? A coalizioni CONTRO interessi e istanze altrui, anziche’ PER il bene del paese, o dell’Europa, qualunque cosa significhi? A nomine e spartizioni, come gia’ avviene in Italia – vedi recentemente con le aziende di Stato? Non vorremmo che anche nella UE, come in Italia, si formi un ‘blocco’ di potere conservatore, magari abbellito da colori partitici diversi, ma fondamentalmente a favore di un immobilismo neoliberale combinato con tecnocrazia e paternalismo (o ‘maternalismo’, se pensiamo ad Angela Merkel).
L’Europa ha bisogno di una scossa, altro che sonnolente Grosse Koalitionen alla tedesca. Rischiamo di sparire dalla Storia, stretti tra il capitalismo americano e le potenze eurasiatiche (Russia, Cina, la stessa India). E la democrazia ne soffre; non si dimentichi che dalle unioni nazionali e grandi coalizioni degli anni Venti-Trenta a Hitler il passo e’ stato breve. Certo, nel 1932 la disoccupazione tedesca era al 31%, e di SS oggi in giro non se ne vedono (molte). Voglia di uomo forte pero’ c’e’, e l’ungherese Orban ne e’ gia’ un chiarissimo esempio. E’ ora che i cittadini europei ci riflettano su, e presto; tra un mese si vota!