Venerdì scorso, dopo aver ospitato una lunga intervista a Beppe Grillo, il programma tv Bersaglio Mobile condotto da Enrico Mentana ha invitato il presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi. Ha ribadito come un canovaccio i concetti ripetuti in queste settimane (pratica ormai comune tra i tre leaders delle principali formazioni politiche) ma una mi sento di sottolineare sopra le altre, che andrebbe quantomeno analizzata e approfondita. “Il Pd alle prossime politiche del 2018 deve puntare al 40%. Sogniamo un meccanismo in cui si vada verso il bipolarismo (…) un bipartitismo all’americana“.
Renzi ha affermato che sogna, un po’ come Veltroni con la vocazione maggioritaria, un Pd al 40 per cento. Obiettivo che ritiene alla portata grazie all’Italicum, la legge elettorale realizzata in accordo con Berlusconi che è stata molto discussa e contestata per i lati negativi che essa produce per la democrazia. Secondo il segretario del Pd l’Italicum agevola il bipolarismo, con un centrosinistra in mano al Pd e un nuovo centrodestra liberato dal berlusconismo.
L’Italicum però ha come obiettivo il bipartitismo forzato. Pd e Forza Italia parlano in tv di bipolarismo ma le ultime elezioni hanno mostrato in Italia l’esistenza di ben 4 poli, che nel frattempo sono diventati tre (Il Movimento 5 stelle gode più del 20 per cento dei consensi secondo i sondaggi). Gli italiani continuano a votare numerosi partiti e questo non piace a chi vuole il bipartitismo, obiettivo per cui in realtà nacque il Pd nel 2007. Non a caso poco tempo dopo anche Silvio Berlusconi tirò fuori dal cilindro il ‘suo’ Popolo della Libertà, ma quando Walter Veltroni fece capire a Silvio che il Pd era disposto ad andare da solo alle elezioni se anche il Pdl lo avesse fatto, il leader della destra italiana gli ha risposto picche (senza Lega al nord e Movimento per l’Autonomia in Sicilia rischiava di perdere o di fare la fine di Prodi).
Il percorso però non si ferma. Infatti a pochi mesi dalle elezioni europee 2009 (esattamente come fece il centrodestra a dicembre 2005 col porcellum) il nuovo Parlamento decise che dovevano inserire lo sbarramento al 4 per cento. Questo fece fuori partiti minori che comunque ottennero insieme milioni di voti (Federazione della Sinistra 3,3% Sinistra e Libertà 3,1 Lista Bonino-Pannella 2,4 tra i vari). Anche l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro e l’Udc di Pierferdinando Casini votarono a favore: all’epoca lo videro come un vantaggio perché convinti di superare abbondantemente la soglia, ora probabilmente si stanno mangiando le mani per quella scelta azzardata.
Successivamente si è deciso in alcuni Comuni e Regioni di ridurre il numero di Consiglieri eleggibili. Il caso emblematico è quello di Roma e della Regione Lazio che, dopo lo ‘scandalo Fiorito’ dei rimborsi, utilizzò l’argomento in maniera strumentale. Nel Lazio modificarono il numero degli eletti senza seguire l’iter di modifica dello statuto regionale (una sorta di costituzione regionale), da qui nacquero le denunce di atto illegittimo. Ridurre i Consiglieri non elimina i ladri ma sicuramente riduce la rappresentanza e aumenta di fatto la soglia di sbarramento per entrare in Comune e in Regione. Dalla gestione di Renata Polverini si arriva a quella di Nicola Zingaretti: ora si parla di modifiche come la doppia preferenza uomo/donna ma al contempo si vuole alzare lo sbarramento, di per sé vicino al 4 per cento per chi si presenta da solo. Le leggi elettorali comunali e regionali garantivano un certo pluralismo nelle formazioni che decidevano di allearsi e forse questa troppa democrazia (che comunque garantisce un premio di maggioranza) non piace a chi deve ridurre le forze politiche rappresentate per poi giustificare il tentativo bipartitista.
Passiamo alle Province, dove c’era una delle migliori leggi elettorali tra quelle vigenti, che ora non sono più eleggibili. Almeno non dai cittadini, perché saranno comunque votati ma dai consiglieri comunali e dai sindaci. Anche qui viene eliminata la rappresentanza popolare, alcuni penseranno però che almeno si stanno risparmiando miliardi di euro. Purtroppo le cose non stanno così perché il personale rimane e le strutture pure, senza contare che i compiti delle province dovranno comunque essere svolti da qualcuno con relativi costi. La rappresentanza popolare verrà ridotta anche qualora facciano la riforma del Senato eleggibile: in questo caso ci saranno nominati dai Consigli regionali.
Ora si arriva a una riforma elettorale che trova l’accordo di Renzi e Berlusconi perché garantisce la maggioranza a chi vince le elezioni e annichilisce le forze politiche alternative eccetto il Movimento 5 Stelle. L’Italicum di fatto rende i partiti medi succubi di quelli grandi, poiché col 5 per cento se stai in coalizioni che superano il 12 stai dentro, se ti presenti da solo no (serve l’otto per cento).
Siccome Berlusconi furbescamente sta rastrellando tutti i partiti possibili per raggiungere il 37 per cento per vincere al primo turno, ora anche Renzi deve correre ai ripari e cercare in qualche modo una coalizione che lo renda competitivo. Esattamente come “fece finta” Veltroni, che si coalizzò con Di Pietro facendo credere che poteva vincere le elezioni, quando invece era chiaro che il distacco era troppo, ma così almeno portò il Pd al 33 per cento grazie a chi lo votò, sia per la novità che contro Berlusconi (lo stesso Di Battista del Movimento 5 Stelle ha affermato di aver votato, tra gli altri, anche il Pd).
Ora l’Italicum è stato approvato solo alla Camera e non rispettando comunque le date promesse da Renzi. Una situazione pericolosissima qualora non si rifrmasse il Senato, perché ci troveremmo una legge elettorale per la Camera e una per il Senato con la quasi certezza di avere due maggioranze diverse, situazione ancora più accentuata rispetto a quanto accaduto a febbraio 2013 a causa del porcellum.