Finalmente oggi si vota. Anche se non tutti lo faranno. Io voto. Anche perché mi sono fatto delle idee sul punto. Poche ma chiare.
1. L’Europa conta eccome sulle politiche statali. Altrimenti non avremmo avuto l’esplosione di movimenti antieuropei in tutti i paesi membri. Ma se conta così tanto, tanto vale partecipare, incidere, scegliere. E fare in modo di contare qualcosa.
2. Quest’anno la composizione del Parlamento determinerà anche la nomina del Presidente della Commissione europea. Quello che determina l’agenda dell’UE, promuove la legislazione, gestisce i programmi UE e i suoi fondi. Per la prima volta con questo voto, il Consiglio europeo che sceglierà il Presidente dovrà tener conto delle elezioni.
3. Di fatto, dunque, non si sceglie tra Renzi, Grillo e Berlusconi. Ma tra il socialista Schulz e il popolare Juncker. Cioè tra i due schieramenti più forti. Si ok, ci sono anche Tsipras, per la Sinistra Europea, Verhofstadt, per i Liberali, e la Keller, per i Verdi. Ma si tratta di quisquilie.
4. In estrema sintesi, scegliere tra Juncker e Schulz significa scegliere tra due opzioni concorrenti: l’Europa dei conservatori, basata sul rigore e sull’immobilismo. E l’Europa dei progressisti che affianca all’obbligo del pareggio di bilancio un nuovo patto per la crescita: con l’emissione, a livello di Eurozona, di titoli pubblici comuni (Project Bonds), finalizzati alla mobilitazione di ingenti capitali per finanziare un ambizioso programma di investimenti.
5. C’è poi un’altra scelta da fare. Quella tra sfascisti ed europeisti. Quelli che vogliono sfasciare tutto, in cerca di illusorie rivalse nazionali ma costruiscono sull’argilla della rabbia una catastrofe sicura. E quelli che vogliono prolungare questi decenni di pace e prosperità, nonostante le fatiche degli anni recenti, e investire sulla speranza di un nuovo patto comunitario.
6. Con tutti i limiti di questa campagna elettorale, per la prima volta da sempre si è parlato anche di queste cose. Troppo poco, certo. E anche malamente, non c’è dubbio. Ma si è parlato di Europa. E del ruolo dell’Italia in Europa. Non saprei ripartire in quote il merito di questa novità. Ma c’è stata.
7. E in Italia? Alla luce di queste premesse, la selezione è troppo facile. Ci sono forze minuscole e, peggio, inconcludenti. Poco male se alcune non raggiungeranno la soglia del 4 per cento: il pluralismo è importante, ma in democrazia bisogna anche scegliere e governare.
8. C’è un centro destra senza bussola. Ridotto a statua di sale a furia di specchiarsi nell’immagine di un leader che ha guidato il declino dell’Italia invece di governarla. Resiste, ma senza una idea del futuro.
9. C’è un movimento di protesta velleitario e confuso che assorbe e alimenta la rabbia degli italiani senza tradurla in una progettualità politica. Aveva acceso importanti speranze di cambiamento, ma si è presto arenato per incompetenza e conservatorismo. Non sembra in grado di suggerire un orizzonte possibile.
10. Resta in campo il tentativo di un giovane premier che ha compiuto una scelta precisa per le riforme, sia dentro i confini nazionali che in prospettiva europea. Un segno solo apparentemente secondario di questa strategia è la scelta di far aderire il PD al gruppo dei socialisti europei. Nel prossimo Parlamento europeo, il Partito Democratico italiano potrebbe diventare il partito più numeroso di quel gruppo.
11. In realtà, il partito è fortemente frammentato: fatto di filiere di voto e di correnti spesso in contraddizione tra di loro. E talvolta con l’obiettivo di interdire il leader eletto dalle primarie. Proprio per questo, chi sceglierà di votare per questo partito dovrà scegliere con attenzione, privilegiando la linea del cambiamento e non quella del trasformismo e del conservatorismo. In molti sanno, nei propri territori, quali sono i candidati del cambiamento e quali i candidati dell’eterno ritorno. Questo è un invito a scegliere per i primi.