L’Argentina, ieri mattina, con un comunicato del Ministero dell’Economia, ha fatto sapere che non sarà in grado di far fronte ai propri debiti, dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva sentenziato il pagamento agli hedge fund possessori di bond argentini relativi all’ultimo grande default nel 2001. Il 30 giugno sarebbe stato il giorno relativo alle cedole del nuovo debito ristrutturato, oltre al pagamento totale ai fondi. Lo stato sudamericano ha ribadito la volontà di negoziare e pagare i debitori ristruttarati, ma attualmente non ci sono le disponibilità finanziarie.
Ripercorrendo la storia, scoviamo che dopo il default argentino del 2001, il debito fu convertito in due tranche, nel 2005 e nel 2010. Gli hedge fund non parteciparono all’offerta del debito, perchè volevano essere pagati pienamente, senza alcun sconto. I tribunali americani hanno dato ragione ai fondi, ma l’Argentina non paga, almeno per il momento. O meglio, potrebbe pure staccare un bell’assegno da 1,3 miliardi di dollari per saldare i cosidetti “holdout”, ma il rischio sarebbe quello di incorrere in nuove cause da parte di chi accettò le proposte di ristrutturazione del debito. Si può quindi parlare di nuovo default argentino? Tecnicamente si, in pratica pure. Questione di ore o di giorni. Le riserve valutarie si attestano a soli 28 miliardi. Briciole, considerando le tante scadenze che il Paese deve affrontare.
Ma una domanda quindi sorge spontanea farla. Che fine ha fatto la panacea di tutti i mali, l’iniezione di moneta tramite politiche espansive per rilanciare l’economia? Dov’è finita quella grande cura che, si dice, abbia rimesso in piedi l’economia di grandi nazioni come Stati Uniti e Giappone, salvo poi vedere un aumento della sperequazione fra ricchi e poveri? L’Argentina è l’esempio del fallimento di queste politiche, e la presidente Cristina Kirchener una principale artefice. Come dice un vecchio proverbio, prima o poi tutti i nodi vengono al pettine.
Negli ultimi anni la politica economica argentina si è attestata in linea come quella di Fed e Bank of Japan, e in parte anche della Bce, immettendo tanta liquidità monetaria nel sistema economico. I ritmi di crescita economica sono apparsi da subito elevati, ma in lungo periodo questo può portare a conseguenze pesanti come l’inflazione galoppante, attualmente a oltre 10%-11%. Si arriva così a una perdita del potere d’acquisto dei salari, anche a causa della cosidetta svalutazione “competitiva”, che a dire la verità di competitivo c’ha ben poco. Il tutto, condensato dalla piaga dilagante della corruzione e di un aumento della spesa pubblica per garantire a una platea sempre più grande sussidi e aiutini di ogni genere. Non dimentichiamoci che nel 2015 ci saranno le elezioni presidenziali in Argentina. La strada per arrivare alla campagna elettorale del prossimo anno sarà basato ancora di più sullo sbandieramento dell’illusione monetaria, o meglio, della sovranità monetaria, che fatta in questo modo non è che pura droga.
Lorenzo Pelliconi
@LorenzPellico