Come professori di Business School ci chiediamo spesso perché’ siamo necessari. Forse perché formiamo i dirigenti di domani e ideiamo strategie che consentano alle organizzazioni di creare valore per le società. Ma gli studenti avranno bisogno di noi nella stessa misura in futuro? Probabilmente no se prima non cambiamo il nostro approccio all’insegnamento così da far fronte alle mutevoli necessità del mondo dell’educazione.
Secondo alcuni esperti citati su un articolo apparso sul numero di gennaio di The Economist sul tema del “futuro dell’impiego”, il 47% di tutte le categorie lavorative, comprese professioni altamente qualificate nel campo della medicina e del diritto, saranno automatizzate nell’arco dei prossimo due decenni. Tra le professioni ritenute al riparo dall’automazione (almeno per il momento) figurano quelle che richiedono interazione umana e competenze emotive, come i manager, quelle basate sull’abilità artigianale, come le professioni del ludo terapeuta e dell’attore, e quelle che implicano la comprensione di sistemi complessi d’interazione umana e istituzionale, come l’economista. Fortunatamente, i professori delle Business School riescono ad essere una sorta d’ibrido tra l’economista, il terapeuta, l’attore e il manager: abbiamo delle conoscenze da trasmettere agli studenti, una scena per praticare il nostro mestiere e capacità pedagogiche.
Tuttavia, tenuto conto del dirompente mutamento tecnologico che si ripercuote sulle nostre classi – attraverso i social media, l’informatica “mobile”, i corsi online aperti a tutti (MOOC) e la gamification – è giunto il momento di abbandonare una volta per tutte il modello di istituto didattico-commerciale concepito attorno alla figura di un saggio che sale in cattedra. Le classi si stanno trasformando in una rete di connessioni sia virtuali sia reali, ispirando una maggiore collaborazione ed espandendosi tra le diverse culture man mano che le scuole diventano globali. Anche le aziende si aspettano che noi professori formiamo i futuri leader su questi nuovi temi.
Tuttavia l’attuale modello d’insegnamento nelle Business School non è concepito per fronte a queste tendenze. Dobbiamo pensare in nuovi termini, che vadano oltre le presentazioni e i video, oltre il metodo socratico e i quiz, oltre le analisi di casi e gli articoli specialistici. I professori devono guardare a se stessi come a dei cineasti sperimentali per una produzione di Global Business nell’Economia in Rete, che orchestrano e allenano un cast di attori multinazionale attraverso degli esperimenti –e che scendono dalla cattedra per avere un campo d’azione più vasto. Questa nuova frontiera dell’insegnamento richiede qualcosa d’inconcepibile da parte di molti professori: rischiare senza sapere a priori quali saranno i risultati. I professori delle Business School possono rispondere in maniera più adeguata alle nuove esigenze degli studenti in un mondo che va sempre più digitalizzandosi ridefinendo i principi di base dell’insegnamento.
Si deve costruire una realtà virtuale, per progettare e testare soluzioni in ambienti simili a quelli del mondo reale. Così facendo si possono integrare i diversi attori, le pressioni e le incertezze che creano le reali sfide per i leader. L’esperienza in classe dovrà essere una simulazione di un mercato o di un settore economico reale. Questa simulazione potrebbe proseguire per un intero Master in Business Administration (MBA), imitando il ciclo di vita di una vera impresa con le sue diverse sfide e necessità.
E’ inoltre necessario saper scrivere e dirigere simulazioni complesse e su larga scala. Un aiuto in tal senso potrebbe venire dall’industria dell’intrattenimento: sceneggiatori, sviluppatori di giochi e produttori. Si può integrare il contenuto e la logica di diverse funzioni commerciali in narrazioni coinvolgenti e utilizzare incentivi e premi per stimolare mosse e contromosse. I team di studenti diagnosticherebbero i problemi sintetizzando delle soluzioni ad hoc che sarebbero poi integrate nella simulazione avviando uno scambio dinamico tra reale e virtuale.
Infine è necessario far leva sulle capacità individuali degli studenti, come un allenatore che guida i team attraverso le sfide e li supporta a prendere decisioni appropriate. Dobbiamo incoraggiare gli studenti ad apprendere dai loro stessi comportamenti man mano che la simulazione procede.
Gli studenti apprendono quando li dotiamo delle competenze per gestire sfide reali e quando sviluppano capacità strategiche incontrando ostacoli e imprevisti. Attraverso le simulazioni, gli studenti apprendono ad innovare, a gestire guadagni e perdite in sistemi sia economici sia ambientali sia tecnologici, e a chiedere informazioni e feedback ai compagni di squadra, ai concorrenti, agli esperti e ai professori.
Il risultato di questa nuova didattica sarebbe un livello più profondo d’impegno e di soddisfazione da parte degli studenti, le aziende assumerebbero dipendenti meglio preparati con conseguenti migliori risultati economici, e il lavoro dei professori verrebbe maggiormente apprezzamento (e saremmo sicuri di avere ancora un lavoro).
I giovani leader devono essere pronti a fare questo passo e a rispondere alle nuove sfide. Noi professori saremo in grado di cambiare per aiutarli?
N.B. Questo articolo e’ la versione italiana di un articolo pubblicato da Groth, Esposito e Tse su Harvard Business Review il 26 maggio 2014.