L’Unità è uscita – si dice “per l’ultima volta”, ma già oggi il direttore Luca Landò smentisce questa ‘mortale definitività’ – con un titolone noir degno di Lucarelli: “Hanno ucciso l’Unità”.
E, virando dal dramma poliziesco alla canzonetta pop, verrebbe quasi di continuare con quel famoso ritornello: “chi sia stato non si sa/ forse quelli della mala/ forse la pubblicità”. Un po’ irriguardoso – lo ammettiamo – visto che si parla di una testata storica e di lavoratori a rischio, ma non privo di fondamenta nella realtà.
Davvero ci domandiamo oggi, chi ha ucciso l’Unità? Il direttore Luca Landò, nell’editoriale di commiato, prova a dare una risposta. Ma non convince.
I primi sospettati del delitto sono i soci della società editrice e “l’assurdo statuto che impone una maggioranza del 91% per prendere qualunque decisione”. Ma si fa fatica a pensare che un giornale come questo chiuda perché i suoi soci non si mettono d’accordo o per via delle regolette societarie.
Ma la pista investigativa che maggiormente convince Landò è un’altra. L’omicida, molto probabilmente, è lo stesso Pd. Anzi, per la precisione, il suo segretario: com’è noto, per molti, compresa la redazione de L’Unità, non sono affatto la stessa cosa. E il movente? Troppo facile: L’Unità è fuori linea perché fa parlare le minoranze e i dissidenti. Ma “Mister 41%” – così Landò chiama l’interlocutore che lo dovrebbe salvare… – se avesse voluto una linea diversa avrebbe potuto coinvolgere degli imprenditori organici: e, a quel punto, di fronte a tanta moneta sonante – ci pare sottinteso – Landò avrebbe cambiato linea volentieri, consegnandosi al suo assassino.
Il castello di illazioni prosegue, condito perfino con generiche proposte di rilancio. Ma conviene leggerlo direttamente l’editoriale di Landò. A noi è rimasto impresso soprattutto un messaggio di enorme presunzione. D’altra parte, basterebbe riguardare il video che qualche settimana fa la redazione diffuse in rete: una carrellata di dichiarazioni di redattori e grafici che, da un piedistallo di sofferenza di classe e di incompresa sapienza, si rivolgono a qualcuno (si, sempre lui, il segretario cattivo) che non è in grado di capire. In fondo, che cosa vuoi che possa capire dell’Unità un ragazzetto appena fatto, uno che viene dagli scout, che si esprime per hashtag, che pensa che l’Unità sia un brand. Loro, la redazione – che Gramsci lo hanno letto tutto e lo conoscono bene – odiano gli indifferenti (si si, sempre Renzi, ovvio) che nulla fanno per salvare il quotidiano. Loro chiedono che il ‘presidio’ resti aperto, semplicemente perché loro sono l’Unità.
Nessuno nel video, né Landò nel suo j’accuse, suggerisce idee nuove o nuovi orizzonti, nessuno chiede di dialogare e confrontarsi, nessuno pone le domande cruciali: a che serve l’Unità oggi? Chi la legge o potrebbe leggerla? Quale linea editoriale? Di tutto ciò nessuna traccia. L’editoriale di Landò rivendica un appagante incremento di copie in occasione dei novant’anni del quotidiano, della ripubblicazione di inserti storici (Tango, Cuore), del trentennale di Berlinguer. Insomma, un giornale forte in storia e necrologi… Ma per quello forse è meglio RaiStoria: un quotidiano non dovrebbe vivere nel presente e nel futuro? Perché oggi, d’altra parte, un lettore di sinistra legge Rapubblica e Il Fatto e non legge l’Unità? Perché le community sul web più forti sono quelle – ancora una volta – di Repubblica e de Il Fatto? Perché chi vuole seguire le vicende del governo Renzi (si, proprio lui, “Mister 41%”, il che significa milioni di potenziali lettori) può farlo più facilmente collegandosi al sito di Europa e non al sito dell’Unità?
Siamo tutti spiaciuti quando un giornale chiude e dei professionisti perdono il loro lavoro. Ma la verità amara è un’altra, purtroppo. Nessun omicidio è stato compiuto, semmai qualcuno si è lasciato morire. L’Unità non è una testata al di sopra di ogni sospetto. In questo caso (come per il Senato o per Alitalia, ovviamente mutatis mutandis) non c’entra niente la difesa della democrazia, del pluralismo e della Costituzione. Nessuno ti segue solo perché rappresenti un (sempre più piccolo) mondo antico, per quanto nobile. Semplicemente il mondo è cambiato. E tanta sinistra (anche giornalistica) si rifiuta di accettarlo.
Articolo pubblicato su Gazebos.it