Gli impianti, eolici e fotovoltaici, producono energia in corrente continua. Per riversarla nella rete elettrica, che funziona a corrente alternata, hanno bisogno di un dispositivo, l’inverter, che converte la corrente continua in corrente alternata, “agganciandola” alla tensione e alla frequenza di rete.
Le grandi centrali termoelettriche garantiscono la stabilità della rete, perché equipaggiate con macchine elettriche rotanti le cui caratteristiche sono:
1) statismo: ogni generatore sincrono è in grado di dare più potenza, quando la frequenza diminuisce, e ridurla quando invece aumenta.
2) corrente di corto circuito: prima dell’intervento delle protezioni elettriche, che evitano che si sfasci, la macchina elettrica riesce a “dissanguarsi” fornendo una corrente che vale 4, 5 volte la corrente nominale tamponando eventuali guasti della rete, alimentandola fino all’intervento delle protezioni, che limitano il guasto a una singola porzione di rete.
L’elettronica degli inverter non consente questa elasticità:
1) non c’è statismo; quindi gli impianti versano sempre la potenza che la cella fotovoltaica, o il generatore dell’aeromotore,producono, indipendentemente dalla frequenza; sono come un’automobile senza acceleratore, che non si accorge se stiamo andando in salita o in discesa.
2) hanno correnti di corto circuito limitate (1,1 volte la corrente nominale); non rilevano il cortocircuito della rete e forniscono sempre la stessa corrente, anche a fronte di consistenti abbassamenti della tensione.
3) un’ulteriore componente del sistema, la protezione, stacca immediatamente per variazioni di frequenza o di tensione della rete. Le protezioni sono spesso inadeguate e non è chiaro se proteggano la rete o il macchinario dell’impianto. Un autentico far-west, come denuncia AEEG – l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas –“ L’Autorità ha già provveduto a informare il Ministro dello Sviluppo Economico el’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato affinché possa verificare se vi siano o vi siano stati comportamenti opportunistici e collusivi da parte dei costruttori dei sistemi di protezione di interfaccia”
Consistenti quote di energia da inverter, prodotte da più di mezzo milione di nuovi impianti, rendono quindi la rete instabile e il fenomeno si amplifica nelle giornate festive di basso carico, quando, buona parte della generazione termoelettrica è spenta, e la produzione da fotovoltaico diventa preponderante.
Nelle ultime domeniche di luglio, il carico medio era di circa 23.000 MW, dei quali 12.000 MW di rinnovabile, 8.000 MW di importazione e 3.000 MW di generazione rotante.
In giornate come queste,il rischio di black-out aumenta considerevolmente: il venir meno di una quota d’importazione, farebbe infatti staccare in cascata gli impianti fotovoltaici e, con una potenza rotante in funzione così limitata, sarebbe lungo e molto complicato, tornare a regime.
Accadde già nel settembre del 2003, ma oggi la situazione è ancora più rischiosa perché, dal 2003, sono stati installati più 10.000 MW di rinnovabile, che possono staccare tutti insieme. Nel novembre del 2006, un altro blackout, quella volta europeo, lasciò l’Italia, solo parzialmente, indenne.
Al problema nazionale, si aggiungono quelli “locali”, legati alla disomogenea distribuzione della generazione e alla strutturale inadeguatezza dei collegamenti in alta tensione, tra Nord e Sud e tra le isole e il continente.
Spostare potenza elettrica non è come scambiare dati con Internet: una rete priva di gerarchia, nella quale ciascun soggetto dotato di IP si affaccia, in modo paritario e senza bisogno di dispacciamento per scambiare dati nelle due direzioni.
La rete elettrica attuale, invece, per come si è evoluta da fine ‘800, è concepita per collegare pochi soggetti produttori a tanti soggetti utilizzatori, con notevoli problematiche legate alla natura “materiale” della potenza (molto più materiale di un flusso di byte) e con la necessità del dispacciamento, che equilibra produzione e consumo.
Tutto nasce, come sempre, dalla cronica mancanza di pianificazione del nostro paese: prima d’incentivare “a pioggia” le rinnovabili bisognava rendersi conto che si sarebbero presentati questi problemi e ora, come sempre, bisogna inseguire per correggere.
Dall’inizio bisognava far sì che il mix delle fonti di generazione fosse equilibrato e non distorto da meccanismi ideologici come quello che mette le rinnovabili tra i buoni e tutti gli altri tra i cattivi.
Soprattutto in Italia, assistiamo a un devastante effetto a catena: paghiamo l’energia un terzo in più degli europei, per gli incentivi alle rinnovabili; con l’energia così cara chiudono le industrie e con il carico ridotto aumenta la penetrazione delle rinnovabili nella generazione, a tutto vantaggio dei Cinesi che, non solo producono i pannelli solari, ma stanno anche investendo nelle reti.
Nel frattempo,comprate qualche candela e pensate com’è semplice, per Francia e Germania, lasciarci al buio.