Anche Renzi è giunto laddove erano già arrivati Monti e Letta, e cioè si è convinto che l’Italia non ha alcuna possibilità di invertire da sola il ciclo economico in atto. Renzi aveva forse intravisto qualche possibilità di vigorosa ripresa chissà in quale dato macroeconomico, e ha accelerato la sostituzione di Letta e la sua ascesa a Palazzo Chigi per prendersi i meriti, ma si trattava delle classiche lucciole scambiate per lanterne. Inoltre riteneva che la sua giovinezza, la sua esuberanza, l’aver fatto fuori la vecchia classe dirigente, l’avrebbero accreditato in Europa, e gli sarebbero stati concessi maggiori margini di manovra nella gestione della spesa pubblica. Il risultato elettorale alle elezioni europee e l’accoglienza che ha ricevuto alle prime riunioni a Bruxelles, lo hanno rafforzato in queste convinzioni, e così la nomina di una italiana quale alto commissario per la politica estera.
Ma si trattava di riconoscimenti di sola facciata, se non addirittura di curiosità paternalistica verso questi italiani che con la politica fanno tanto divertire gli europei: una volta mandano un buffone, un’altra volta un ragazzino che si crede statista. Nella sostanza la Germania e chi comanda a Bruxelles, non hanno cambiato il loro atteggiamento di una virgola. Se Renzi avesse usato la sua esuberanza per inchiodare la Germania alle sue responsabilità di fautrice della deflazione interna, forse avremmo avuto un’altra storia.
Renzi si trova nella tipica situazione dei governanti italiani degli ultimi anni, cioè quella di passare il tempo a racimolare un po’ di milioni qua e là nel bilancio pubblico, sia dal lato delle entrate che da quello delle uscite, per far quadrare i conti, o poco di più (gli 80 euro), senza un disegno complessivo di ripresa dello sviluppo che risulti credibile anche in Europa. Ha moltiplicato gli annunci verbali e le promesse mirabolanti, sempre per rinviare la concretizzazione delle sue precedenti promesse di una crescita sostenuta, aspettando la sorte e con la speranza che qualcun altro inverta il ciclo in Europa e trascini anche l’Italia, e poi prendersi i meriti.
Sono cominciate a circolare anche le idee “creative” alla Tremonti, come quella, annunciata dallo stesso Renzi, di dare ai lavoratori dipendenti il Tfr in busta paga e non aspettare la fine del rapporto di lavoro, in modo da rilanciare la domanda interna per consumi. Misura miserabile che sottrae ai lavoratori quel risparmio, solo perché non si vuole riconoscere loro un giusto salario. A questo proposito vogliamo solo ricordare che già oggi in caso di necessità il datore di lavoro può erogare in anticipo il Tfr. Ci aspettiamo che prossimamente venga avanzata anche la proposta alle persone anziane di vendere la nuda proprietà della propria casa e godersi gli ultimi anni della propria vita spendendo in bagordi. A questa opera di accattonaggio si è ridotto il nostro governo che aveva promesso miracoli e l’avvio di una nuova fase della nostra storia.
Tutto il cancan provocato dalla discussione sull’art. 18 nasce solo da questa situazione. L’impotenza evidente di Renzi deve essere occultata agli italiani. Come? Con una discussione accesa, quanto futile ai fini della crescita, su un argomento solo apparentemente serio e dirimente ai fini dello sviluppo. E’ arcinoto che l’art. 18 non costituisce alcuna remora alla crescita e all’assunzione di nuovi lavoratori, nonché agli investimenti esteri. Lo hanno sempre detto gli imprenditori italiani, anche se oggi, per compiacere il governo, stanno facendo retromarcia, quanto meno a livello di Confindustria. Lo hanno sempre detto gli investitori esteri, per i quali la remora più grossa è costituita dalla corruzione, e poi dalle lungaggini burocratiche e da quelle della giustizia. Lo diceva fino a qualche mese fa lo stesso Renzi, e non credo neanche che lo abbia chiesto l’Ue, come si dice da più parti. L’art. 18, insomma, è la classica arma di distrazione di massa.
Purtroppo l’Italia sembra condannata a questa perenne rincorsa a un traguardo che si sposta sempre più in avanti e diventa sempre più irraggiungibile. Con questa classe dirigente il nostro declino sembra inarrestabile, e ogni governo che si alterna dà un’altra spinta. Forse il mancato governo Bersani avrebbe potuto avviare una fase reale di risanamento e ripresa, non fosse altro perché lo stesso Bersani ha partecipato al governo Prodi del ’96 che era riuscito a rimettere in carreggiata il nostro paese. Ma Napolitano non l’ha voluto, e ha impedito che nascesse.