Confesso già dall’incipit di aver smarrito la speranza di un cambiamento nella scuola italiana (e nella università) da almeno 15-20 anni. In questo arco di tempo il dibattito è proseguito stancamente. Saranno anche state fatte delle riforme, ma sembra che nessuna di queste sia stata tale da lasciare tracce di una reale trasformazione. E così il tema (education, education, education! di blairiana memoria) è tornato centrale nel ‘discorso pubblico’ di Renzi, a partire dalle primarie del 2012.
Da mesi ascoltiamo le litanie sulla superficialità, rapidità, inconsistenza, genericità del premier fiorentino, accusato da più fronti di essere l’ennesimo imbonitore, il nuovo pifferaio nazionale, l’ultimo principe del marketing politico. Figuriamoci uno del genere che mette le mani sulla scuola.
Da pochi giorni, però, il gruppo di lavoro incaricato dal Presidente del Consiglio ha rilasciato un documento ricco di argomenti e ben costruito su “La buona scuola”: offre alcune linee guida (12, per la precisione) che i più volenterosi potranno leggere (ho scritto “leggere”, non ho scritto “sfogliare” o, addirittura, “commentare a priori senza nemmeno averlo letto”).
Premetto, per onestà, che il mio giudizio è viziato. Conosco alcuni dei giovani consulenti che hanno lavorato al documento e sono tra i migliori esperti che circolano da qualche anno nelle amministrazioni pubbliche italiane (normalmente dopo ottime e abbondanti esperienze all’estero). Anche per questo il prodotto finale non mi stupisce. Perché senza paura dell’enfasi, dico che il documento sulla scuola è ottimo. Di più: è rivoluzionario. Se soltanto si riuscisse a fare la metà di quello che c’è scritto, la scuola pubblica italiana ne uscirebbe stravolta. Ma in meglio.
Siamo di fronte ad un vero e proprio cambio di paradigma. Non più la scuola della Prima Repubblica: una scuola di ‘sopravvivenza’, capace di garantire una formazione senza infamia e senza lode e, allo stesso tempo, un po’ di posti pubblici di risulta ai tanti che hanno scelto di lavorare nell’istruzione come rimedio, ma non per missione. Il programma di Renzi rimette al centro i cittadini utenti (famiglie e giovani), non più il personale docente e tecnico con i propri sindacati. Questo significa, per esempio, introdurre la valutazione della qualità del servizio offerto e premiare quei docenti che si sono distinti per impegno e risultati ottenuti. Questo significa introdurre trasparenza (dai budget al registro dei docenti) e abolire le procedure burocratiche inutili anche nelle scuole.
Anni fa, una collega francese, stupefatta di fronte all’ennesimo surreale concorsone mi chiese: “ma perché in Italia funziona così? Perché fai un concorso per tutti, tutti vincono e quasi tutti restano poi a spasso? In Francia il concorso si fa per ricoprire soltanto il singolo posto lasciato vacante dal docente”. Il disegno che emerge dalle linee guida potrebbe consegnare finalmente alla storia questo sistema. Il piano straordinario per l’assunzione di 150mila precari a settembre 2015 – con la chiusura delle graduatorie ad esaurimento – non è soltanto una misura di “rammendo”, ma apre ad una nuova gestione. A partire dal 2016, infatti, 40mila giovani qualificati potranno diventare docenti di ruolo solo per concorso, senza più riprodurre liste d’attesa che durano decenni. La rivoluzione non riguarda soltanto i diritti e lo status dei docenti, ma pone le basi per una nuova architettura del sistema dell’educazione: questo dovrà essere ispirato a nuovi criteri organizzativi e manageriali nei quali, per esempio, non potranno più esistere le supplenze, ma un team stabile di docenti capace di garantire la continuità didattica agli studenti.
L’altro grande capitolo riguarda il miglioramento del pacchetto formativo con l’introduzione di nuovi servizi digitali, l’investimento sulla Storia dell’Arte nelle secondarie, lo sviluppo di nuove competenze digitali (coding, pensiero computazionale, digital making), l’obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro negli istituti tecnici e professionali, e via elencando.
Già poche ore dopo la pubblicazione del testo, le prefiche della scuola pubblica hanno cominciato il piagnisteo: Renzi è bravo solo a promettere, ecco il solito venditore. E’ vero: la riforma è ancora scritta sulla carta, deve essere discussa ancora in una ampia consultazione nazionale e poi bisognerà implementarla con norme e iniziative adeguate. Altre voci critiche hanno rilanciato la solita trita tiritera: più soldi, più personale e più sicurezza. Tutto sacrosanto, per carità, ma pensare che la qualità e l’efficacia della scuola cambino con un programma fordista vuol dire dare le spalle al futuro.
In realtà, il vero ostacolo è un altro: quella concatenazione di poteri e corporazioni consolidati che non vogliono cambiare. Tra questi scogli, la riforma della scuola di Renzi si potrebbe davvero incagliare.
(Questo pezzo è stato pubblicato da Gazebos)