Ego politicoHong Kong, la goccia che può far traboccare il vaso cinese

Immaginate se in Alto Adige-Suedtirol ci fossero le elezioni ma i candidati devono essere supervisionati dal governo italiano per avere l'ok, in modo che siano accettati quelli che rispettano amore...

Immaginate se in Alto Adige-Suedtirol ci fossero le elezioni ma i candidati devono essere supervisionati dal governo italiano per avere l’ok, in modo che siano accettati quelli che rispettano amore e devozione per l’Italia e le sue istituzioni. È più o meno quel che sta accandendo tra Cina e Hong Kong. Il motivo della ‘Rivoluzione degli ombrelli’ è la ferma volonta di una bella fetta di popolazione dell’ex colonia britannica di avere ciò che spetta loro: vere elezioni democratiche. Ad oggi Hong Kong ha delle elezioni ma senza suffragio universale, votano infatti soprattutto grandi elettori espressione del sistema economico della città che ormai ha sette milioni di abitanti. Questo ha portato all’esclusione dei diritti di milioni di cittadini che hanno portato le questioni sociali a legarsi a quelle democratiche. L’insofferenza si è accumulata, di fronte alle intenzioni cinesi di controllare e “normalizzare” la diversità del piccolo Stato, nel momento in cui è stato dato l’ok alle elezioni del 2017 ma a condizione di un controllo preventivo di Pechino ai nomi dei candidati. L’assenso arriva se non sono persone sgradite al regime ossia se i candidati giurano fedeltà alla nazione cinese.

Formalmente così vengono rispettati i patti con il Regno Unito che ha ceduto l’area nel 1997, a condizione che si rispettasse l’autonomia di Hong Kong per 50 anni, con un’intrusione di fatto molto pesante. Hong Kong ha un sistema capitalista di libero mercato le cui regole sono state forgiate durante la colonizzazione britannica, che vuole difendere dal mercato aperto ma condizionato dal partito comunista in Cina. Purtroppo l’economia di Hong Kong dipende in buona parte dalla borghesia cinese, questo porta i ceti produttivi a scegliere la real politik agli ideali. Per questo non c’è un ampio consenso verso le proteste di Occupy Central, portata avanti dagli studenti che credevano fermamente nell’idea di un’autonomia nel segno della democrazia e dell’avanzamento dei diritti. Da giorni migliaia di cittadini hanno occupato una delle strade principali dove c’è un sit-in permanente. Proprio la forte divergenza con le istituzioni cinesi, controllate dal partito comunista, ha portato i manifestanti a voltarsi di fronte alla bandiera della Cina mentre veniva innalzata.

Ora le richieste si sono fatte più aggressive, dopo gli scontri e gli arresti tra cui il leader della protesta studentesca, successivamente rilasciato, minacciando l’occupazione delle sedi governative in caso non si dimetta il capo di governo (Chief Excecutive) e non vengano garantite libere elezioni senza i tentacoli di Pechino. Il quale sta cercando di capire come sia meglio comportarsi per non rischiare che Hong Kong possa trasformarsi in un detonatore di richieste autonomiste e indipendentiste che provengono con sempre più aggressività e determinazione in altre zone del grande territorio cinese.

TIBET

I monasteri tibetani sono controllati dalla polizia cinese, il potere centrale fa sentire il suo pesante fiato sul collo in quella che sulla carta dovrebbe essere una regione autonoma. Avere a casa un’immagine del Dalai Lama costa la prigione. Finora sono 132 le persone che si sono autoimmolate per la causa tibetana, l’ultima vittima uno studente che si è dato fuoco.

Il Dalai Lama ha sempre maggiori difficoltà ad incontrare i leader politici mondiali per diffondere l’idea di un Tibet autonomo senza secessione dalla Cina. Phurbu Tsering Rinpoche, definito Buddha vivente, è stato arrestato e imprigionato nel 2008, formalmente per possesso di una pistola e alcuni proiettili, dopo le proteste anticinesi dei tibetani. La condanna che deve scontare è di otto anni e mezzo e il suo avvocato denuncia le pessime condizioni di salute e i trattamenti ricevuti in carcere.

La denuncia che fanno i tibetani, popolazione di 5,5 milioni di abitanti, è il tentativo di “colonizzare etnicamente” il loro territorio, tramite facilitazioni e incentivi ai cinesi di etnia han, maggioritaria in Cina ma minoranza in alcune aree tra cui il Tibet.

XINJIANG UIGURO

Anch’essa regione autonoma, si trova a nord del Tibet, con cui confina. Se non fosse offensivo per il governo cinese sarebbe più opportuno chiamarlo Uiguristan. È una regione a maggioranza uigura (turcofona e islamica) con una popolazione poco superiore ai cinesi han, concentrati nei grandi centri urbani. In cerca di indipendenza da Pechino dal dopoguerra si è arrivati nel 2009 a manifestazioni e a un violento scontro con gli abitanti di etnia han, che ha provocato circa 600 morti. Successivamente sono iniziate attività più estreme come attentati ad alcune stazioni ferroviarie con decine di morti, una situazione che ha portato all’arresto di centinaia di persone accusate di inneggiare alla violenza separatista. Il salto di qualità è avvenuto in ottobre 2013 con un attentato a piazza Tiananmen a Pechino, un’auto guidata da uiguri ha investito dei turisti. Gli attentati sono continuati fino a pochi giorni fa.

MACAO

Città portuale controllata dal Portogallo ritornata in mano cinese nel 1999. Ha una struttura politico-amministrativa simile a Hong Kong ma solo negli ultimi anni sono aumentate le rivendicazioni democratiche. Ad agosto è stato riconfermato “chief executive” l’unico candidato, il potente Fernando Chui. Alcune organizzazioni che chiedono democrazia e suffragio universale hanno proposto ai cittadini un referendum non ufficiale ma le autorità sono intervenute per non permettere l’occupazione di suolo pubblico. Macao ha “solo” 550mila abitanti e finora ha preferito preoccuparsi della propria ricchezza economica ma le proteste di Hong Kong ha vivacizzato anche questa area non molto distante.

TAIWAN

Per noi occidentali è uno stato autonomo (anche se non totalmente riconosciuto) ma per i Cinesi è parte del proprio territorio, un’isola ribelle. Taiwan è il risultato della sconfitta dei nazionalisti cinesi, raccolti nel partito Kuomintang, contro i comunisti di Mao. Si rifugiarono così nell’isola di Formosa dove hanno creato una dittatura poi trasformata in sistema democratico così come lo conosciamo ora. Le tensioni con la Repubblica Popolare Cinese sono ancora forti, sia per le limitazioni economiche di Taiwan alle esportazioni cinesi, sia per le questioni territoriali e militari ancora non risolte. L’isola, formalmente denominata ‘Repubblica di Cina’, simpatizza per le rivendicazioni di Hong Kong e chiede a Pechino di garantire le richieste di libertà e democrazia anche per poter migliorare i rapporti tra il governo comunista e quello di Taiwan.

Queste situazioni di instabilità al momento restano isolate e in qualche modo controllate dal partito comunista cinese ma basterebbe un collante e un detonatore e nel giro di pochi anni potrebbe destabilizzarsi anche il dragone cinese, con conseguenze inimmaginabili. La Cina al momento denuncia infiltrazioni occidentali sulla questione di Hong Kong e l’obiettivo sarà probabilmente quello del bastone e della carota: da una parte reprimere le proteste (Hong Kong non ha un proprio sistema di difesa) dall’altra trattare qualche timida apertura alle rivendicazioni dei ribelli della rivoluzione degli ombrelli.

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