PalomarL’altro PIL: il capitale sociale

Esiste una ricchezza del Paese che non compare nelle statistiche ufficiali del PIL o negli indicatori che descrivono lo sviluppo: il capitale sociale. È quella ricchezza collettiva data dalla fiduc...

Esiste una ricchezza del Paese che non compare nelle statistiche ufficiali del PIL o negli indicatori che descrivono lo sviluppo: il capitale sociale. È quella ricchezza collettiva data dalla fiducia, dal senso di responsabilità verso gli altri e le istituzioni, dai comportamenti nei confronti dell’ambiente, della comunità, di ciò che appartiene alla collettività. Si è progressivamente posta attenzione a questa dimensione perché il capitale sociale costituisce una precondizione per lo sviluppo, è l’humus nel quale si possono coltivare le qualità sociali indispensabili per la crescita di una comunità. Fra le molte disomogeneità che caratterizzano l’Italia, sicuramente anche quella relativa al capitale sociale non fa eccezione. Lo possiamo osservare individualmente viaggiando lungo lo stivale, lo troviamo analizzato da diversi studi socio-economici: rispetto delle regole, comportamenti civici, forme di solidarietà e mondi associativi sono diffusi in modo diversificato e con intensità diverse nel Paese. La ricerca di Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, ha provato a verificare in che misura un insieme di comportamenti che hanno ricadute sul piano della collettività sono considerate accettabili, cercando di delineare una misura del grado di appartenenza a una comunità civica degli italiani. Per marcare maggiormente la legittimazione sociale di taluni modi di agire, consideriamo qui quanti hanno espresso una totale inaccettabilità di quelli proposti. La classifica che ne scaturisce vede, su tutti, svettare due condotte ritenute dalla quasi totalità assolutamente non accette: gettare rifiuti nei luoghi pubblici (96,3%) e compiere atti vandalici come forma di protesta (91,6%). Sensibilità ambientale e rispetto delle proprietà (privata) costituiscono due dimensioni fondamentali nel definire il perimetro delle virtù civiche italiche. Più staccate troviamo altre due azioni che paiono avere un grado maggiore di tollerabilità: fingere di essere ammalati per assentarsi dal lavoro (78,3%) e non pagare le tasse o cercare di pagarne meno del dovuto (72,3%). Per circa un quarto degli italiani la dimensione dell’evasione (dal lavoro e dalle tasse) può avere una giustificazione. Appaiate, poi, troviamo un gruppo di azioni che vede ulteriormente allargarsi l’alone di plausibilità: denigrare l’avversario politico (53,2%), bloccare i lavori di interesse pubblico (52,0%), farsi raccomandare (51,3%). Sicuramente il clima politico surriscaldato che il Paese ha vissuto in questi anni e il peso di visioni particolaristiche influiscono nel rendere ragionevoli simili modi di agire. Lo stesso (mal) funzionamento del mercato del lavoro nazionale, poi, induce a cercare forme di aiuto informali per ottenere un’occupazione. Infine, al fondo della classifica si colloca la forma di partecipazione politica per eccellenza: votare alle elezioni. Solo un terzo (34,8%) degli italiani considera questo come un atto assolutamente dovuto al quale non è opportuno sottrarsi. Una volta di più, troviamo conferma del distacco che serpeggia nei confronti della politica da parte degli italiani.

Per cercare una sintesi delle diverse valutazioni e individuare un profilo del senso di “comunità civica” degli italiani si sono sommate le diverse risposte e individuati così 4 gruppi prevalenti. Il primo è costituito dai “civici rigorosi” (42,8%) ovvero da quanti hanno considerato tutte le opzioni proposte assolutamente inammissibili. Seguono i “civici accomodanti” (30,8%) ovvero coloro che ritengono talvolta ammissibili solo alcuni dei comportamenti elencati. Infine, quasi appaiati, abbiamo i “civici permissivi” (15,2%) e gli “anomici” (11,2%). Si tratta, rispettivamente, di chi ritiene legittimati almeno due fra le condotte ipotizzate e quanti ne avallano almeno la metà. In generale, questi esiti differenziano in modo sufficientemente netto gli orientamenti della popolazione. Un senso di “comunità civica” è più diffuso fra le donne, i più adulti (oltre i 50 anni), i non attivi sul mercato del lavoro e ha un basso livello di studio. Viceversa, un maggior grado di “permissività” e “anomia” è rinvenibile fra i maschi, le generazioni più giovani (fino a 34 anni), chi possiede un titolo di studio medio-alto. È opportuno rilevare come altri fattori siano discriminanti. In primo luogo, l’appartenenza geografica. I residenti del Nord (soprattutto a Nord Est) hanno un più spiccato senso civico rispetto a quanti vivono nel Centro-Sud. Tuttavia, in queste aree non mancano i “civici rigorosi” che sono in misura analoga a quelli del Nord. Piuttosto, a pesare è la quantità degli “anomici” che è più elevata della media. In altri termini, nel Centro-Sud gli orientamenti della popolazione risultano più polarizzati. Infine, la dimensione della morale religiosa e dell’interesse verso la politica rappresentano, una volta di più, un sostrato fondamentale per coltivare le virtù civiche.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club