Stavolta non ce la caveremo con l’indignazione.
Servirà a poco il sincero dolore per una vita umana recisa ingiustamente a soli 26 anni. Le nostre lacrime asciutte non serviranno a riportare in vita Reyaneh Jabbari.
Reyaneh è stata ammazzata dalla corda spietata di una giustizia miope e ottusa. Da sei anni si trovava nel braccio della morte di un carcere di Teheran, con l’accusa di aver ucciso l’uomo, un iracheno dipendente dei servizi segreti iraniani che nel 2007 aveva tentato di stuprarla dopo averla attirata nel suo appartamento con una scusa.
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A nulla sono valse le istanze di Amnesty International, le preghiere giunte da ogni parte del mondo per salvarle la vita, l’appello accorato di papa Francesco; gli inviti alla famiglia della vittima affinchè ritirasse l’accusa.
Reyaneh Jabbari non ce l’ha fatta a sconfiggere la mentalità di un paese come l’Iran in cui il potere è sempre usurpazione di potere, in cui si fa fatica a riconoscere il diritti base di una donna, considerata da sempre un essere inferiore; dove la supremazia del maschio è un teorema primitivo, un fardello patetico portato dagli uomini come scorta di un passato glorioso, un residuo di ottusa perversione che li considera, per capriccio divino, superiori alle donne.
In questa terra di innumerevoli contraddizioni, che s’incarnano nei volti delle donne nascoste nel chador- così come nei visi truccati vistosamente- ma sempre incorniciati da un velo nero o colorato che sia, Rejaneh è solo una delle tante storie di vita negata.
Eppure Rejaneh potevo essere io o una qualunque altra donna occidentale, se il fato ci avesse fatto nascere in quella porzione di mondo invece che in questo. Non c’è merito o demerito in un destino come questo.
Basta pensare a questo per provare un’empatia viscerale nei confronti di questa ragazza che pure non abbiamo mai conosciuto ma che fino all’ultimo ha gridato, in silenzio e per bocca di sua madre, le ragioni di una donna violata che si è rifiutata fino all’ultimo giorno di ritrattare la sua versione dei fatti, nonostante ciò le avrebbe impedito di essere condannata a morte.
Ora che le sue ragioni sono morte con lei, a noi resta l’amarezza per questa morte sommamente ingiusta ma- soprattutto- l’impotenza per tutte le Rejaneh che non riusciremo a salvare.