Per evitare facili fraintendimenti, meglio premurarsi di precisare come noi non si condivida il realismo di Stendhal, per il quale l’onestà pareva essere l’ultima qualità rimasta alla gente da poco.
Anche perchè l’onestà assume valore non solo sotto il profilo più strettamente patrimoniale, bensì, ed ancor prima, come onestà intellettuale, ovvero la capacità di riconoscere i meriti dei nostri avversari e gli errori dei nostri sodali.
Fatta la premessa, veniamo ai fatti.
Ha destato un certo stupore, pare, sia il crollo dell’audience televisiva del solito talk show moraleggiante di Santoro sia, ed ancor di più, il litigio in diretta tra lo stesso Santoro ed il suo abituale Jaint-Just da salotto televisivo, Marco Travaglio, reo quest’ultimo di essersi lasciato andare ad uno sfogo isterico e plateale, con tanto di abbandono della trasmissione.
Il casus belli sarebbe stata una divergenza, per usare un eufemismo, con il normalmente indifendibile Claudio Burlando, che cercava di reagire al consueto climax del Travaglio inquisitore, abilissimo nello snocciolare le sue pillole di saggezza, e di verità, apprese dalla lettura preferita, ovvero i fogli dei casellari giudiziali e dei carichi pendenti. L’unica realtà storico-politica che per Travaglio realmente conti.
Ora, per i maligni e maliziosi la scenata sarebbe stata una trovata del duo Santoro-Travaglio finalizzata a risollevare le infelici sorti televisive del loro programma.
Noi che non siamo a tal punto maliziosi, e che disdegniamo l’esercizio nazionale della dietrologia e del complotto, non arriviamo a malignare fino a tal punto.
Ci sembra, invece, che la scenata isterica di Travaglio sia un sintomo del passar di moda, finalmente, della retorica giudizial-moralista da tanto al chilo ferocemente da lui praticata e brandita, tanto da essergli debitore di una superlativa carriera, confermata dal successo nel lancio, oramai un lustro fa, del quotidiano di carta il Fatto Quotidiano. Successo tanto più notevole in quanto ottenuto in un periodo, tanto per capire, in cui i giornaloni nazionali fanno a tal punto fatica, da improvvisare improbabili restyling e scopiazzature dei rivali pur di destare l’attenzione di disinteressati e disamorati lettori.
Non è un caso, infatti, che il buon Travaglio abbia cavalcato, e contribuito ad ingrossare, i consensi politici, ed i canestri pieni di voti, via via raccolti dagli autoproclamatisi “Partiti degli Onesti”: prima, non solo per ragioni temporali, la lista Di Pietro, poi, con qualche incertezza, la lista di Ingroia e, alternativamente, il novello modello internettiano-giacobino del Movimento 5Stelle.
Per la verità, il mito del partito degli onesti, sotto l’effige del partito della superiorità morale, non è in realtà figlio solo della stagione di mani pulite e della c.d. seconda repubblica, ma vanterebbe un sontuoso antesignano tra le file del vecchio Partito comunista, abilissimo, tanto per cambiare, nell’inanellare tra le sue fila i vari rappresentanti o delle vittime della tal strage, o il magistrato che si fosse guadagnato i calloni sul campo, pur di poter esercitare il consueto ricatto morale: o siete con noi, o siete sostenitori, alternativamente, degli stragisti, dei malavitosi o dei golpisti.
Di per sé, quindi, nulla di nuovo.
Ma il Travaglio nazionale ci ha sempre tenuto a chiarire, non casualmente, che lui non aveva nulla a che spartire coi sostenitori o ammiccatori della superiorità morale, anzi. Lui si era fatto le ossa scrivendo su il Giornale di Montanelli, ovvero di quel gigante del giornalismo e raro esempio di liberale, anarchico e conservatore le cui origini politiche ben potevano ritrovarsi nella Destra Storica dei Cavour, Ricasoli, Sella.
L’affiliazione, per Travaglio, serviva a sgombrare il campo dalle facili illazioni di essere il solito utile idiota dalla sinistra, e per consentirgli di ampliare il terreno di conquista editoriale. D’altronde come non dargli torto: lo spazio della destra, in Italia, prima colmato dai nostalgici del fascimo, poi dai moderni ripropugnatori del laurismo, restava un luogo dello spirito, se è vero, come è vero, che quella Destra Storica cui il Maestro di Travagli si rifaceva, era bene sintetizzata dal motto proprio di Ricasoli: “siamo onesti: non chiedo altro”.
Sventura volle, però, che i tempi abbiano prodotto né i Cavour i Sella i Ricasoli, chè sarebbe stata speranza vana, ma nemmeno modesti epigoni di questi giganti della Storia. E che quindi l’allora giovane, e quindi inesperto Travaglio, sia caduto facile preda dei pifferai di turno, primo tra tutti Antonio Di Pietro, abilissimo e cinico sfruttatore, per scopi personali, della stagione di mani pulite.
E tra l’ex pubblico ministero ed il Travaglio da combattimento fu subito amore. Non sappiamo fino a che punto corrisposto, ma certo da parte del giornalista doveva trattarsi di un trasporto incondizionato, al punto che quando un dipietrista della prima ora, l’onestissimo (e ci risiamo!) Elio Veltri cominciò a svelare – e documentare – le malefatte, i raggiri, le cointeressenze dell’ex pubblico ministero di mani pulite, Travaglio non ebbe dubbi nello scaricare Veltri, condannandolo a sarcastiche risposte, prima, e poi all’oblio giornalistico dell’irrilevanza.
Nel frattempo l’arca di Noè degli onesti messa in piedi da Di Pietro si riempiva di tutte le varie specie: vi salirono i vari Donadi, quello che non sapeva nulla e che cercò di salvare se stesso, ed ancor prima lo scranno parlamentare, alla oramai suonata venticinquesima ora. Si imbarcò, poi, un altro ex pubblico ministero che, abusando della notorietà garantitagli dall’esercizio delle pubbliche funzioni, si lanciò in politica facendo, manco a dirlo, il pieno di voti: Giggino a’ manetta, al secolo Luigi de Magistris. Per garantire, come si conveniva allo scopo, la massima pluralità di specie, non poteva mancare l’ulteriore coppia da riproduzione, composta da Antonio Razzi e Domenico Scilipoti.
Arriverà poi più tardi, a chiudere questo inquietante zoo antropologico, persino un altro ex pubblico ministero, quell’Ingroia che dopo aver preso per i fondelli le Nazioni Unite (e poco importa), si era politicamente lanciato con un programma da far tremare le vene dei polsi persino al più stupido dei benpensanti del partito degli onesti: applicare il regime del 41bis a tutti i cittadini italiani. Tanto per gradire, ed in forza della massima totalitaria per cui chi non ha nulla da temere può stare tranquillo.
Le sorti di questa allegra brigata sono note, tristemente note.
Ma la difesa d’ufficio del nostro Travaglio, finchè non comparve qualcuno in grado di rimpiazzare adeguatamente il primo amore tra i commi del suo cuore, proseguì fino a quando il mito del Di Pietro nazionale non venne – finalmente – ammaccato da un altro campione della società videns, ovvero dalla ineffabile Milena Gabanelli, che col suo Report rese pubbliche le stesse lamentele per anni vanamente urlate e scritte ai quattro venti da Elio Veltri.
Con una differenza, che a Travaglio non poteva sfuggire, essendo un uomo mediaticamente intelligentissimo: che un conto è scriverle certe cose (come faceva Veltri), che tanto non Ti legge nessuno. Altro è spiegarle a Sua Signora TV, l’unica fonte cui l’homo videns è portato a credere senza bisogno di ulteriore conferma.
Riaggiornando così, ai danni del parito degli onesti dei Di Pietro, de Magistris ed Ingroia, la vecchia massima: è la potenza dei media, bellezza!
Non sappiamo se, come conviene agli amanti dopo la rottura, Travaglio si sia prodigato a richieder indietro le affettuose lettere destinate ai suoi paladini, od a cancellare, per tema che qualcuno glieli rinfacci, gli affilatissimi articoli dedicati ai nemici dei suoi beniamini, oppure quei pezzi di giornalismo in cui si impegnava, col suo talento, a nobilitare anche le più feroci cretinate giuridico-poliziesche dei nostri iperonesti.
Certo è che oggi le cure e le attenzioni di Travaglio sono tutte riservate all’informe massa, e quindi per lui più tranquillizzante, del pentastellatismo, il nuovo modello degli internet-creduloni che si presumono onesti, anzi onestissimi.
Ora, la nostra, nonostante tutto, non è mica invidia nei confronti di Travaglio. Per carità. Il suo successo è senz’altro figlio della sua bravura, e della sua capacità mimetica.
Ci preme, però, dal basso della nostra tiratura, ricordargli che persino uno come lui può commettere degli errori, primo tra tutti quello, gravissimo, di presumere di poter attribuire una qualità, quella dell’onestà, che può al più esser riconosciuta al singolo individuo, in quanto qualità morale, e non mai ad un soggetto collettivo. Non esistono, con buona pace della retorica dei sinistri, dei sindacalisti, sempre in cerca di adeguati bidè della coscienza che giustifichino la loro scelta politica, partiti della morale, degli onesti o dei socialmente giusti.
Ci sono, si spera, individui che singolarmente fanno del bene comportandosi onestamente, ed altri, o magari gli stessi che rinnegano se stessi, che decidono di comportarsi male e disonestamente. Punto. Magari aggiungendo la triste e cinica constatazione, che fa il paio con il realismo di Stendhal, per cui, come ci ricordava Giovenale, l’onestà è lodata da tutti, ma muore di freddo.
Caro Travaglio, la smetta di attribuire le colpe morali al popolo, o ad un parte di essa che secondo il suo giudizio non avrebbe ancor visto la luce delle (cinque) stelle. Si ricordi che i nomi collettivi sono buoni a far confusione e che un bel giorno ti accorgi che siamo noi parte di quella collettività, quando invece credevi che fossero sempre gli altri (Flaiano).
In fondo ci spiace doverla criticare, non fosse altro per il rispetto che portiamo per il suo Maestro. Ma crediamo di aver inteso la differenza tra quello e Lei.
Montanelli si è sempre definito un testimone, che esprimeva le proprie opinioni sui fatti per come li vedeva, rifiutando di far da pennacchio alle brame politiche altrui ed al massimo invitando al voto turandosi il naso. Lei resta e resterà, invece, un procuratore, più o meno di successo, abile abilissimo nel pronunziare giudizi ed irrogare sanzioni, che si presta a suonar la grancassa e che non esita ad invitare al voto annusando profondamente.
E, con tutto il rispetto, non ci paiono differenze da poco.