…ma per seguir virtute e canoscenza

Negli ultimi giorni l’attenzione mediatica non ha trascurato la missione spaziale Rosetta, che lo scorso 12 novembre è riuscita per la prima volta, dopo un volo di circa dieci anni, a far atterrare...

Negli ultimi giorni l’attenzione mediatica non ha trascurato la missione spaziale Rosetta, che lo scorso 12 novembre è riuscita per la prima volta, dopo un volo di circa dieci anni, a far atterrare con successo una sonda (Philae) sulla superficie di una cometa.

Inutile dire che si tratta di uno straordinario successo della scienza e della tecnica, soprattutto se si pensa che solo pochissimi corpi celesti sono statti raggiunti da oggetti di origine umana, e prima della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko la lista era limitata a due satelliti (la nostra Luna e Titano) e due pianeti (Marte e Venere), oggetti quindi anche relativamente omogenei tra loro essendo tutti caratterizzati da un’orbita stabile libera da detriti, dall’equilibrio idrostatico (ovvero dalla forma quasi sferica) e dal possesso di una gravità rilevante.

Anche se non è la prima volta che una missione raggiunge una cometa (la Cometa di Halley in particolare è stata raggiunta da diverse sonde), è la prima volta che una missione prevede un lander (il tipo di sonda che atterra sulla superficie di un corpo celeste), e viste le caratteristiche fisiche di una cometa, diverse da quelle di satelliti e pianeti appena citate, l’atterraggio rappresenta qualcosa realmente senza precedenti.

Davanti a tanto successo, stupisce come parte dell’opinione pubblica abbia accolto con disprezzo l’intera operazione. Ormai celebre è il caso  del servizio del TG4, dove si definisce la cometa “un grosso sasso polveroso” e i 100 milioni di euro investiti “francamente troppi anche per recuperare un reperto archeologico dell’universo”. Nel servizio pare che l’ESA (l’ente spaziale europeo) abbia quasi complottato per dieci anni al solo scopo di rovinare l’immagine romantica che la gente ha delle comete, e ci si indigna quasi del fatto che l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano nell’operazione.

In generale l’esplorazione spaziale viene sempre più spesso vista dall’opinione pubblica italiana come uno spreco dei soldi dei contribuenti, che potrebbero essere altrimenti spesi meglio (ad esempio in altri sprechi e altre poltrone, verrebbe da dire). Poco importa, pare, che l’intera missione (decennale, vale la pena di ricordarlo) sia costata ai contribuenti europei appena 3,5 euro a testa: anche un centesimo appare sprecato se usato per la ricerca. Il clima risulta ancora più sconfortante se confrontato con quello dei vicini paesi, come ad esempio il Regno Unito, che ha dedicato all’impresa un francobollo commemorativo.

Se da un lato la crisi economica ha globalmente ridotto la propensione ad investire, il paragone con gli altri paesi a economia sviluppata è poco rassicurante. Pur senza arrivare a confrontare il nostro paese con quelli scandinavi, che superano l’invidiabile quota della ricerca rispetto al prodotto interno lordo  del 3%, la spesa per la ricerca nel nostro paese resta abbondantemente sotto la media OCSE, con un misero 1,3% del Pil contro un 2,4%. Anche i paesi in via di sviluppo sembrano più lungimiranti, con la Cina in particolare che incrementa la sua quota e si appresta a diventare il primo paese al mondo per spesa in ricerca entro il 2019 (stime OCSE).

Ma in Italia si preferisce lamentarsi della mancanza di sviluppo piuttosto che creare le basi perché possa esserci. Siamo in democrazia, e le preferenze popolari sono fondamentali per la determinazione delle politiche pubbliche. E se non c’è il sostegno con le politiche, cosa può fare la ricerca per finanziarsi? Una strada c’è sempre, ed è quella dell’investimento privato. La strada è più in salita, perché ovviamente le imprese sono disposte ad investire solo a fronte di un ritorno sull’investimento, e non sempre la ricerca di base è in grado di offrirne, ma gli esempi non mancherebbero, come quello della produzione del film Interstellar, di Christopher Nolan, che per fornire una resa più realistica degli effetti speciali ha renderizzato le immagini a partire dalle funzioni matematiche usate in fisica per modellizzare i fenomeni gravitazionali estremi, con il lavoro di ricerca necessario che fornirà materiale per una futura pubblicazione scientifica.

Purtroppo questa approccio sembra davvero fantascientifico in Italia, paese delle piccole e piccolissime imprese, dei telespettatori che preferiscono Mistero a Super Quark, dei geologi che vengono processati per non aver previsto fenomeni sismici imprevedibili (e dei giudici che vengono disprezzati per averli poi assolti), degli elettori che vogliono che il lavoro lo garantisca lo Stato e non gli spin-off industriali della ricerca, e della cometa 67P che, sempre per citare il servizio del TG4, emoziona meno dell’asteroide del  celebre film Armageddon (era appunto un asteroide, non una cometa…ma sempre sassi sono).
Leonardo Donati
@laud_ita

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