Mi sono fatto male, mi sono tagliato un dito, anche in maniera balorda. Stavo tagliando del formaggio, francese o tedesco, e la lama affilatissima di qualche ditta giapponese si e’ affondata nel mio pollice destro, quella zona di equilibrio fra noi e tutti gli altri animali. Il pollice opponibile. Niente di serio, pero’, nonostante un taglio profondo. Niente di grave, a parte la sensazione che il dolore sia sempre li’, a portata di lama o di mano, appena sotto la superficie, appena a lato, come se un errore od una svista siano comunque sempre contemplati nel gioco della realta’. Mi sono distratto e la lama ha aperto un crepaccio nella mia pelle ed il sangue non smetteva di uscire, fiotti quasi di sangue rosso e denso. Il mio corpo si ribellava all’idiozia in quella maniera. Mi sono seduto ed ho bevuto un bicchiere di vino, credo spagnolo. O forse cileno. Ho lasciato che i miei polmoni lavorassero piu’ in profondita’ del solito, per far rallentare il cuore dalla sua arrabbiatura e lasciando entrare nelle mie vene molto piu’ ossigeno di quello di cui avrei avuto bisogno. Ho pensato che avevo bisogno di elazione, di leggerezza indotta dall’assorbimento di aria ossigenata. Rigeneratevi, cellule, mi ripetevo dentro, rigeneratevi, e procreatevi, piccoli vasi sanguigni.
Ho alzato lo sguardo verso lo specchio, per verificare che quella specie di contrazione attorno alla mascella che sentivo fosse un sorriso e non un ghigno da malato di tetano. Per fortuna, stavo ridendo, per quella dinamica, la piu’ ammirabile della nostra condizione umana, che ci fa sentire bene appena ci sentiamo vivi, sopravvissuti o non colpiti da una tregenda. Nonostante non sia roba da tutti i giorni infilarsi una lama shimano nel pollicione. L’animo umano, mi veniva da pensare, e’ possibile che non sia altro che questo senso di liberazione e di risolutezza di fronte alle sfide, al dolore, fisico e spiritual e la disperazione. E dopo neanche un minuto dal taglio, eccomi li’ nell’eccitazione di succhiare il mio proprio sangue, come un vampiro introspettivo, come un autodafe’ di una qualsiasi creatura della notte. Tutto per sentire quel sapore salino e metallico del proprio flusso ematico, come se da qualche parte li’ dentro ci fosse non solo il DNA ma un frammento di anima, da riciclare, da rimettere in circolo. O, forse, come reazione successiva allo stupore della sopravvivenza, che e’ quella di rimettere le cose al proprio posto, pulire la scena del crimine.
Ho pensato che era molto vicina una giornata di pseudo-festa, Halloween, come si chiama nella mia Londra adottiva, o, nella mia Toscana siderale e onirica, Ognissanti, il momento in cui i morti, piu’ o meno elevati agli altari, tornano sulla terra, per parlarci, per ammonirci, per aiutarci. Esempi di ‘I have been there, I’ve done that’ sulle lapidi dei cimiteri, negli altari delle chiese o nei santini che ogni tanto affiorano dai cassetti pieni di lavanda delle nonne. Le piccole gocce di sangue sul pavimento della cucina come una specie di offerta od un martirio postmoderno, indotto da formaggio posh, in onore di qualche dio snervante ed scostante. O, forse, il taglio indotto al mio dito era una specie di offerta di gratitudine per quella complessita’ interna ache siamo, ognuno di noi. Ognissanti, tutti i santi ed i beati, la Gloria cantata dai frati in una mattina fiorentina, una eco della mia memoria, di anni ed anni fa quando tutto era piu’ semplice perche’ tutto da inventare. La memoria di un passato e di un pellegrinaggio laico e minimale, dentro la chiesa di Ognissanti, per controllare che I santi ed I poveri servi di Dio non cambiassero posizione, anno dopo anno, come se il quadro fosse vivo, come se una qualsiasi pala di altare potesse esprimersi in maniere diverse, a seconda della montagna di dolore e rabbia attorno. E, regolarmente, rimanevo deluso, dato che i santi e le loro aureole non cambiavano, non mutavano al di fuori dell’iconografidi estasi e tormenti inflitti per la Gloria di Umberto Tozzi, o di Dio. Mentre il sangue continuava ad uscire copioso dal pollice, la mia mente pensava che niente cambia velocemente, se l’orizzonte e’ l’eternita’. Un’intuizione einsteniana, non suffragata da numeri e calcoli. Prima di tutto la ragione, poi la nemesi.
Ogni cosa precipita, accelera e si annulla quando il dolore cammina nella vita e muta nella malattia peggiore, la nostalgia che deriva dall’eternita’ a ritroso, perche’ il tempo potrebbe e dovrebbe essere esplorabile anche verso il passato e non solo verso il futuro. Forse e’ quello che rende Dio cosi’ informato ma non lo da’ a vedere. Imparare dai propri errori e migliorarsi, il sentiero verso la perfezione. Invece dobbiamo barcamenarci fra nostalgia del passato ed agonia per il futuro, un futuro che ancora non esiste o che solo raramente e’ come ce lo si immagina. Tempo inteso come riparazione, anche del sanguinamento lento delle nostre vite o rapido del mio dito. Tornassi indietro, non lo avrei tagliato il formaggio, forse avrei detto parole piu’ importanti e definitive alle persone a cui voglio bene. L’universo, nella notte di Ognissanti, ascolta, si sente, nella luna che tramonta e negli sguardi felici dei bambini per le strade di Halloween, nonostante gli scheletri, i mostri e il postino che porta le lettere sbagliate alle persone giuste.
Nel tempo anche la cicatrice del mio taglio si rimarginera’, magari all’inizio non perfettamente, ma fra pochi mesi, se non avessi scritto queste poche frasi e rese immortali, nella rete neurale globale, forse non mi sarei mai ricordato di questi pensieri volanti. Il tempo segue un sentiero di sviluppo raffazzonato e incoerente, ma rimane anche il luogo della consolazione, per tutte quelle persone che amiamo ancora, a cui pensiamo nei dieci minuti prima di addormentarci. Oh, se le abbiamo amate alcune di queste persone che ora fluttuano di fronte ai nostri occhi, fra dolore del taglio e preoccupazione di un’infezione. E’ la notte di Ognissanti, e domani un altro giorno mi sorprendera’. In peggio o meglio non lo so. Non sono Rossellaohariano, o non lo sono piu’. So che le cose possono andare peggio o meglio, ma la questione piu’ importante rimane non tanto chiedersi se le cose siano andate come ci aspettavamo, ma se c’eravamo nella battaglia di tutti i giorni e se abbiamo imparato una lezione, seppur piccola, dalla maniera imbelle con cui affrontiamo la vita. Anche nel tagliare il formaggio.
‘Chi dobbiamo ringraziare per la serata? La storia che gli attori di strada hanno messo in piedi era incredibile, in quale paese civile accadrebbe mai qualcosa del genere, il fratello che uccide il fratello, per una corona. Come se il potere oggi valesse ancora qualcosa, sono tutte grane e basta, mi dia retta, signora. Sono tempi diversi, qui chi comanda soffre! Poi, i fantasmi, bellissima immagine, questa. Siamo tutti sempre ossessionati dai fantasmi, o dalle memorie. La nostra vita e’ un’apparenza che infiliamo all’interno di un gioco di divinita’ molto piu’ grande delle nostre miserie. Comunque, scusate, ma e’ tardi…ringraziate Amleto, che non lo vedo. Ora devo andare che mia moglie, la regina mi aspetta…’
FailHamlet – KJ Okker
SOUNDTRACK
Barclay James Harvest – Thank you
https://www.youtube.com/watch?v=RqgwUVZx-W8
And you will know us for the trail of dead – The Ghost Within
https://www.youtube.com/watch?v=0H6Qbp86GoA
Lydia – Stay Awake