La City dei TartariLa primavera del dottore serbo

  Il mio dottore, a Lussemburgo, viene dalla Serbia, e quando lo vedo parliamo in una specie di gramelot fra tre lingue, con parole in inglese, francese ed italiano. Ha visto la guerra, a Sarajevo,...

Il mio dottore, a Lussemburgo, viene dalla Serbia, e quando lo vedo parliamo in una specie di gramelot fra tre lingue, con parole in inglese, francese ed italiano. Ha visto la guerra, a Sarajevo, ed ha quella filosofia sulla vita che solo chi ha visto la morte da vicino molte volte puo’ avere. Si vede nei suoi occhi, sereni ma densi, con ricordi che non vorrebbero rimanere memorie.

Mi informa subito che ‘la sinusite non la includerei fra le malattie terminali di questo secolo’. Durante la visita, mi ricorda all’improvviso che ogni crisi e’ un passaggio obbligato. ‘Non ci si ricorda di come si stava bene in salute, fino a quando non si torna in salute’. Ogni volta esco dal suo studio con molte piu’ domande aperte sulla filosofia dell’essere che medicine. Anche perche’ e’ uno di quelli che crede nella capacita’ umana di autocurarsi, come se esistessero delle ragioni inerenti alla nostra natura che funzionino da antibiotico naturale. Quando gli faccio notare che forse mi devo ancora adattare al clima umido e freddo del granducato, ride e mi dice ‘nessuno ci si abitua, mai. Non ci si puo’ abituare a questo clima, e’ contro la natura umana, abbiamo bisogno di sole e di energia dal mondo fuori, e qui, quattro mesi all’anno, la natura si ferma, ma, aggiunge, la primavera sta per tornare, si fidi di me, so bene la differenza fra inverno e altre stagioni’.

Il dottore serbo ha ragione. Non ci si abitua e non ci si deve mai abituare al male, a quello che e’ inadeguato, all’umido che marcisce ed all’assenza di umanita’. Alla fine della notte della crisi finanziaria piu’ importante degli ultimi 150 anni, mentre ancora indugiamo a pensare a ricette miracolose, a metodologie per risolvere gli enigmi della crescita economica, usando medicine scadute, e scommettendo ancora una volta sulla pazienza collettiva ed individuale ad accettare altri inverni sociali, mi viene ricordato che la primavera puo’ tornare. Attraverso un processo di recupero, costruito sul metodo. Non esistono cure miracolose, non esistono combinazioni di variabili esogene ed endogene che possano far tornare tutto come era prima. Anche perche’ il bello di una malattia e’ che, dopo, ti lascia diverso e nuovo, come se il DNA dei batteri o dei virus avesse modificato il corpo e le connessioni cerebrali. Si chiama immunizzazione. Il corpo costruisce le difese, cosi che’ quella stessa forma di malessere non si possa ripresentare nella stessa forma. Gli anticorpi aiutano il corpo del singolo a migliorare, ergo le malattie servono, le crisi permettono di aggiustare gli eccessi od i difetti. Gli scienziati lo sanno e le medicine che prendiamo per guarire copiano ed esacerbano i processi naturali. Come le capsule con contenuti di vitamina C che solo in 400 arance. La scienza copia ed amplifica quello che la natura prova a fare, quando il malessere incombe.

La societa’, in una sua rappresentazione antropomorfa cara ai filosofi antichi, vive di questa dicotomia fra rischi accertati ed eventi a cui le persone sono sottoposte. Con i miei colleghi che si occupano di gestione di rischio, potremmo passare decenni a disegnare scenari, profili, ipotesi su una nuova crisi, ma si tratterebbe sempre e solo di un allenamento, di palestra. Senza nessuna garanzia che un bicipite piu’ garrulo od un polmone piu’ ventilato possano fermare la prossima infezione. Sicuramente, l’essere pronti, alla sola ipotesi di una crisi, crea difese gia’ importanti. Come con il terrorismo, o con altri rischi sociali, non si cura la societa’ se si tengono nascoste le vere minacce, ma bisogna abituarsi a conviverci, essere pronti ogni giorno ad un evento che non vorremmo accadesse, ma che puo’ presentarsi ogni giorno. Negare il rischio lo aumenta per definizione, perche’ non abitua il corpus sociale a costruire le difese giuste e lascia tutto in mano agli stregoni mediatici ed a vari atteggiamenti irrazionali. O, piu’ semplicemente, si crede che dietro un grafico, un tweet, una serie di dati messi assieme in maniera arbitraria, ci possa essere una salvezza, od un mistero eleusino risolto, una cospirazione smascherata. In questo humus, trionfano i superficiali, i sensazionalisti, i cospirazionisti e gli eterni Peter Pan, abituati a vivere come se il mondo fosse un incrocio fra l’ultimo disco od application alla moda ed un ‘Forse non tutti sanno che’ della ragione. Un mondo diventato quinta, di un teatro del surreale.

Invece, tutto si cura con il tempo, con la profondita’ di analisi, con la pazienza, con la memoria e con meno presupponenza di sapere quale sia la malattia, ancor prima di aver riconosciuto di stare male. Come se i malanni, gli acciacchi, del corpo e della nostra societa’, appartenessero sempre a qualcun altro, a qualche vicino o, peggio ancora, come se la buona riuscita di una cura dipendesse da terapie miracolose e non da noi. Prima di tutto da noi. Da come onoriamo la nostra appartenenza alla razza umana, alla societa’ in cui viviamo. Sono mesi che mi trovano sempre piu’ insofferente con gli indignati di mestiere, chi parla di diritti civili e non si applica sui doveri che la societa’ impone a tutti, chi usa informazioni in maniera distorta, chi costruisce linee gotiche dove un tempo c’erano spazi aperti per comunicare, o, come dicono in Scozia, un ‘blair’, una radura aperta e solcata dai venti oceanici, dove incontrarsi. Sto riscoprendo la qualita’ di chi non fa rumore, antidoto contro chi non fa altro che rappresentare quello che fa, da cosa mangia a dove va in vacanza. Difficile in tempi di assoluta immagine e di superficie, dove manca la profondita’, dove tutto deve essere spiegato in 140 caratteri. Io invece amo leggere diari, libri, tomi e tomi di spiegazioni di una singola azione umana, trovare la profondita’ dell’agire, perche’ conosco la differenza fra correre al riparo e costruirne uno. La differenza fra gestire problemi reali e rischi potenziali. Prepararsi al peggio, ogni giorno. Per vivere meglio. Per una primavera che sta per arrivare. per chi sa spostarsi in maniera operosa e solerte per queste terre abbandonate dalla redistribuzione, ma non dall’umanita’. Bisogna continuare a crederci, come nella guarigione da un’influenza.

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‘Sometimes I move like a shadow, sometimes like wind’

Style Council – The Whole Point of No Return

http://www.youtube.com/watch?v=3tRj9UssQUI

Strand of Oaks – Plymouth

http://www.youtube.com/watch?v=je1MI_W5bmo

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