Capitolo 1 – Come si organizza il riposo negli uffici pubblici
Il chicchessia cittadino contribuente vuole capire come mai il suo consulente fiscale non lo aveva mai avvertito dell’esito di un ricorso. Telefona alla Commissione Tributaria. Grande stupore: rispondono subito, niente Call Center. Forniscono informazioni esaurienti, per avere copia della sentenza si può fare domanda per e-mail – però attenzione:
Ostacolo n° 1: bisogna mandare via posta attestazione del pagamento di marca da bollo di 1,5 euro per rimborsare la fatica degli uffici per inviare la mail (costo euro 1,50 marca, 1,50 commissione delle Poste Italiane, euro da 30 a 300 per ore una/due, tempo medio speso dal malcapitato per andare alla Posta e funzione del costo orario Colf/Professionista). Tutto questo perché gli uffici pubblici non possono incassare denaro che altrimenti potrebbe essere rubato dagli impiegati. Primo tuffo negli anni ’70: basterebbe un POS negli uffici, o altra soluzione che qualsiasi dirigente ministeriale non subnormale sarebbe in grado di escogitare.
Soluzione smart: il chicchessia cittadino si rassegna e conclude che è meglio andare di persona, come si faceva una volta. Alla fine costerà meno e soprattutto si eviteranno disguidi.
Ostacolo n° 2: uffici aperti solo al mattino, no orario continuato, con il consueto disprezzo per il cittadino che è in orario di lavoro. Costo: l’ufficio è uno solo, non in ogni quartiere, qui non può andare la Colf, quindi dai 150 ai 450 euro in termini di tempo sottratto all’attività lavorativa.
Colpo di scena: l’impiegata al telefono, cortesissima, esclama alle rimostranze del chicchessia disperato: aspetti, le leggo la sentenza! Benissimo. La sentenza dice che il ricorso è stato rigettato. Ma questo il cittadino contribuente lo sapeva già. Chiede all’impiegata come si fa a sapere se il geniale consulente fiscale che ha sbagliato il ricorso fosse presente all’udienza. Risposta, per questo occorre il verbale. Deve fare domanda o venire in sede. Torniamo al punto di prima.
Visita alla Commissione Tributaria: quattro piani, un’intera ala di un bel palazzo. Nessuna portineria/informazioni. Accesso libero a tutti i piani (se tenti di entrare in una azienda privata depositi documenti. Qui se vuoi schiaffeggiare un impiegato puoi farlo comodamente). Sorvolando sulla chiarezza delle indicazioni e i cartelli scritti a penna, alle ore 10,30 percorrendo l’ intero primo piano tutte le stanze meno una sono vuote. Ci sono decine di segreterie di sezione, tutte vuote. Nella stanza popolata, ci sono 5 o 6 impiegati in piedi che chiacchierano fra loro. La segreteria della sezione della nostra sentenza è soppressa, bisogna andare al secondo piano. Stessa scena. Spedito al terzo piano. Qui le stanze non sono vuote. Duo o tre scrivanie, una persona massimo, zero pubblico. Alla segreteria di un’aula udienze finalmente si trova la risposta. Digitato il numero di sentenza, basta un click e stampa della schermata dell’esito delle notifiche. Sulla fiducia. No identificazione, no soldi. Miracoloso. Ritorno al primo piano. Udienza in corso. Cinque persone che si aggirano nei corridoi angusti, non c’è da sedere per tutti. Nei corridoi brutte sedie, tantissimi fascicoli a terra, qualche orribile divano e poltrona in finta pelle/vera plastica. Stanze vuote, pavimenti in Linoleum. Fascicoli si, portaombrelli no, furto di ombrello si.
Morale:
– decine e decine di uffici, con due/tre sezioni per segreteria e in migliaia di metri quadri pavimentati con linoleum; tre cittadini in tutto negli uffici, decine di impiegati presenti, di cui al massimo due o tre occupati in qualcosa. Cortesia e disponibilità. Sistema informatico funzionante. Riposo garantito.
– Quante persone basterebbero, se si facesse un serio studio di rilevazione dei reali fabbisogni?
– Cosa ci vorrebbe ad aprire al pubblico anche il pomeriggio, con tutta quella gente disponibile?
– Cosa dovrebbero dire i milioni di disoccupati che rischiano il posto di lavoro nel settore privato, se vedessero lo scandalo di tutta questa gente che se ne sta alla finestra a godersi lo spettacolo di un paese a cui è stato fatto credere che il problema sia il costo del lavoro nel settore privato?
– Cosa deve dire il chicchessia contribuente che assiste a come viene speso il denaro che elargisce con le sanzioni che è costretto a pagare per errori formali, dimenticanze, farraginosità interpretativa dei regolamenti frutto dell’anarco-localismo, incapacità e scorrettezza dei consulenti fiscali? (vedi Capitolo 2)
– Perché il dirigente territoriale di quegli uffici non viene chiamato a rispondere dei costi abnormi di uffici vuoti con impiegati nullafacenti che ricevono il (poco) pubblico solo al mattino e non rischiano nulla, se non di scivolare sul linoleum? Perché il ministro della Giustizia non sa nulla e si occupa solo di leggi e procedimenti, come se l’uso del nostro denaro non fosse affar suo?
Questi ineffabili signori in un’azienda privata sarebbero stati rimossi da anni e sostituiti da qualcuno dotato di ossessione per la produttività e il contenimento continuo dei costi. Che troverebbe le risorse sia per ridurre il peso sui contribuenti, che per mettere un pavimento decente al posto di quel patetico linoleum, simbolo immancabile del falso puritanesimo dei parassiti.
PS: se qualcuno avesse ipotizzato che tutto questo sia avvenuto a Roma Ladrona o in qualche regione meridionale, si sbaglia di grosso. Con buona pace di Matteo Salvini: siamo a Milano.
Capitolo 2: il glorioso consulente fiscale (il Privato peggio del Pubblico)
Il chicchessia contribuente quando è stata istituita l’ICI si è preso la briga di leggere i regolamenti comunali, che prevedevano esenzione dall’ICI per comodato gratuito a un congiunto. Lo comunica al consulente fiscale che scrive di registrare la scrittura di comodato.
Il Comune che non trova il pagamento, non chiede spiegazioni al contribuente, ma invia direttamente accertamento: inciviltà giuridica e nei rapporti con il cittadino.
Il consulente fiscale suggerisce di pagare e poi chiedere rimborso: evidentemente crede di vivere in Canada.
Il contribuente opta per ricorso. Il consulente fiscale invia ricorso senza citare il comodato ma copiando da altri ricorsi motivazioni giuridiche varie. Non sottopone la bozza di ricorso al cliente, nonostante questi non sia affatto digiuno della materia, ne falsifica la firma per il domicilio presso lo studio, invia il ricorso. Il contribuente non riceve convocazioni e altre notifiche. Solo, dopo 3 anni, l’ingiunzione di pagamento da cui deduce che i ricorsi sono stati respinti. Dopo la visita alla Commissione Tributaria, ha la documentazione del fatto che: il consulente fiscale non ha informato il cliente delle udienze, non si è presentato alle udienze, ha avuto il rigetto del ricorso, che conferma che lo ha sbagliato, non ha informato il cliente dell’esito negativo delle udienze. Quindi, oltre a a pagare per due anni ICI non dovuta, il contribuente ha perso ore e ore, ha pagato inutilmente il consulente fiscale e per farsi indennizzare dovrebbe iniziare una vertenza pagando un legale e attendendo i tempi della giustizia italiana. Senza parlare della aleatorietà degli esiti, visto che il giudice nominerebbe un Consulente Tecnico di Ufficio-sicuramente Commercialista-che farà di tutto per salvare il collega.
Amen