Nei panni di una rossaDisoccupazione vs sottoccupazione: coltivare la coerenza fra lavoro e competenze

Secondo gli ultimi dati OCSE, la disoccupazione in Italia è passata dal 12,7% di dicembre 2014 al 12,6% di gennaio 2015. Dopo Grecia (25,8% secondo gli ultimi dati disponibili, quelli di novembre 2...

Secondo gli ultimi dati OCSE, la disoccupazione in Italia è passata dal 12,7% di dicembre 2014 al 12,6% di gennaio 2015. Dopo Grecia (25,8% secondo gli ultimi dati disponibili, quelli di novembre 2014), Spagna (23,4%) e Portogallo (13,3%), siamo quartultimi tra i Paesi della zona euro (tuttavia la flessione della Spagna si mantiene lenta ma costante da 17 mesi, noi siamo in diminuzione da soli due mesi).

Nel nostro Paese, il problema della mancanza di lavoro (soprattutto parlando di disoccupazione giovanile, i cui dati sono molto elevati: interessa il 41,2% del totale dei disoccupati) è talmente fagocitante da far passare in secondo piano un’altra questione non meno importante, ovvero la coerenza fra il lavoro che si fa e le proprie competenze. Il punto non è, infatti, ‘solo’ il trovare lavoro, ma l’avere un lavoro adeguato alle nostre competenze (e aggiungerei, in un impeto di ottimismo, alle nostre attitudini e ambizioni).

Ancora una volta, fa riflettere lo scarto lessicale fra la cultura anglosassone e quella italiana. In inglese infatti c’è un termine abbastanza diffuso, underemployment, per descrivere una situazione di ‘sottoccupazione’, che comprende due aspetti: sia il fare un lavoro riduttivo per le nostre abilità, competenze, studi, sia il fatto di lavorare meno ore di quanto vorremmo (ad esempio facendo un part time piuttosto che un full time).

L’altra faccia dell’underemployment è l’overqualification, cioè l’essere molto più qualificati di quanto il lavoro che stiamo facendo richieda.

Il tema in Italia non è ancora altrettanto sentito, come dimostra il fatto che il termine stesso ‘sottoccupazione’ (alquanto cacofonico a dire il vero) non è molto utilizzato (provate a cercare su Twitter gli hashtag #underemployment e #sottoccupazione: la disparità di referenze salta all’occhio).

Se all’estero, soprattutto negli USA, ci si preoccupa di underemployment, ovvero sottoccupazione, in Italia il problema è ancora la disoccupazione.

Eppure, quanti italiani si trovano a svolgere un lavoro insoddisfacente, non adeguato alle proprie competenze e a tutti gli anni di studio che ci sono voluti per ottenerle, insomma: riduttivo?

E però bisogna dirsi fortunati ad averlo, quel lavoro…

Disoccupazione vs sottoccupazione

Nel nostro Paese il mito del tempo indeterminato è fonte di infiniti conflitti interiori, mal di pancia e depressioni: rinunciare alla comfort zone che procura l’idea del posto fisso sembra una follia improponibile e soprattutto c’è un subdolo senso di colpa verso chi il lavoro non ce l’ha. Un po’ come quando, da piccoli, ci dicevano di mangiare quello che avevamo nel piatto pensando ai bambini senza cibo, ma non è che se noi mangiavamo loro ne avessero di più (paragone un po’ forte ma efficace).

Insomma, è giusto lottare per dare lavoro a tutti, ma non dimentichiamo l’importanza di un lavoro ‘degno’. Cosa che, ahimé, difficilmente viene dall’esterno, dal cielo o dalle istituzioni (e nemmeno dalle raccomandazioni). Dobbiamo essere noi a rimboccarci le maniche e cominciare come Michelangelo a lavorare di scalpello per liberare l’opera. A suon di colpi e smussamenti, sudando sette camicie e rovinandoci la manicure, pian piano troveremo la forma giusta.

Nel frattempo, la differenza la farà la nostra attitudine e la nostra proattività nel gestire la situazione. Sia che siamo ‘sottoccupati’, sia che stiamo lavorando a dei cambiamenti che richiedono tempo e pazienza per concretizzarsi, suggerisco di seguire alcuni step.

1)     Consapevolezza. Quanto siamo (o non siamo) felici da 0 a 10? Ammettiamolo, anziché raccontarci balle, nasconderci alla nostra coscienza o fuggire dalle evidenze.  Non si può cambiare niente se prima non prendiamo coscienza del fatto che le cose, così come stanno, non vanno bene per noi.

2)     Ottimismo come scelta. Per quanto a volte non sia una scelta facile è pur sempre al 50 e 50 con il pessimismo. Sta a noi decidere in quale delle due metà vogliamo collocarci. Se ci troviamo in una situazione complessa proviamo a trovarne alcuni aspetti positivi, che ci sono sempre.

3)     Linguaggio. Senza addentrarsi nella PNL, è risaputo che la nostra visione del mondo si forma sulla base delle parole che utilizziamo, dunque parlare positivamente ci farà percepire immediatamente le cose in maniera più positiva. Allo stesso modo, evitiamo di usare la parola ‘non’: per il semplice fatto che se diciamo ‘non pensare all’elefante rosa’, ci pensiamo subito. Evitiamo di focalizzarci sul negativo, su ciò che non ci piace della situazione attuale: una volta preso atto del desiderio di cambiare, partiamo da ciò che ci piace, da ciò che amiamo di noi e di quello che viviamo/facciamo.

4)     Via le influenze negative. Niente è peggiore del frequentare persone negative o  troppo statiche, che si lamentano senza contemplare la possibilità del cambiamento, oppure si autogiustificano in più modi per non attuarlo. Spesso l’affetto per certe persone ci rende difficile ‘disinnescarle’ o frequentarle meno, ma se pensiamo che noi siamo ‘la media’ delle 5 persone che frequentiamo più assiduamente, c’è di che riflettere. E’ fondamentale che le 5 persone a noi più vicine siano positive, proattive, stimolanti e ispiranti, che ci portino a elevarci e a espanderci anziché tarparci le ali.

5)     Utilizzo delle nostre abilità indipendentemente dal lavoro. Se non le esercitiamo le perdiamo, dunque se il nostro contesto lavorativo non ci permette di mettere a frutto le competenze e le abilità che abbiamo e che vogliamo coltivare, dobbiamo ingegnarci per farlo in altri modi (ad esempio aprendo un blog a tema, facendo esperienze di volontariato, insegnando in una scuola per stranieri). Ci vuole creatività e determinazione nel trovare strategie di pratica per le nostre skill aldilà dell’ambito lavorativo che non ce le riconosce. 

6)     Imparare cose nuove, sempre. Quali abilità o conoscenze sono richieste dal nostro mercato di riferimento? Quali di queste non possediamo ancora ma ci piacerebbe avere e applicare?  E’ il caso di individuarle e apprenderle: quando arriverà l’opportunità giusta saremo pronti a coglierla. 

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