Perché Renzi farebbe bene a tenere giù le mani dalla Lingua Italiana

Possibile che il premier Renzi non abbia davvero null’altro da fare se non correre dietro alle alzate d’ingegno del presidente della Camera, on. Laura Boldrini? Davvero la desinenza d’un sostantivo...

Possibile che il premier Renzi non abbia davvero null’altro da fare se non correre dietro alle alzate d’ingegno del presidente della Camera, on. Laura Boldrini? Davvero la desinenza d’un sostantivo o il genere del plurale possono essere più importanti degli esodati, degli  imprenditori che si suicidanoper crediti (non pagati dallo Stato), della disoccupazione giovanile?

Stando a quanto ci dice Paolo Bracalini su Il Giornale, sembra proprio di sì. Secondo l’articolo citato, nei prossimi mesi ci aspetterebbe una piccola burrasca linguistica: Palazzo Chigi avrebbe infatti istituito una commissione ad hoc al fine di ‘correggere’ gli aspetti grammaticali che, nel maschilista Italiano parlato dal machista italiano medio, ‘non riconoscono le specificità di genere’.


Laura Boldrini alla Camera dei Deputati

Spieghiamoci meglio, perché sennò l’onesto lavoratore, che torna a casa stanco la sera, rischia di faticare a seguirci: il presidente Boldrini già da mesi – addirittura dal suo insediamento quando, si dice, fece gettare al macero la carta intestata del suo ufficio che recava la scritta ‘Il Presidente’ al fine di sostituirla con il più consono ‘La Presidente’, – ha ingaggiato una fiera battaglia contro ciò che egli ritiene essere una discriminazione (anche) linguistica del genere femminile. Su questa linea, ancorché più volte smentito dall’ Accademia della Crusca, il presidente Boldrini non ha desistito ed è riuscito, a quanto pare, ad ottenere persino la creazione di una commissione che si occuperà di capire quali cambiamenti apportare alla nostra lingua: Bracalini, sul Giornale, suggerisce ad esempio che il termine ‘cittadini’, reo di recare un plurale solo maschile, andrà sostituito con ‘cittadinanza’ (che è femminile, sed foemina imperat, a quanto pare) e che, in un elenco di tre persone in cui due siano donne, si dovrà scegliere il plurale al femminile per, supponiamo, diritto di maggioranza.

Ora, al di là della discutibile opportunità in termini di agenda politica, questi presunti provvedimenti, che affliggeranno (non sembra di poter dire semplicemente ‘interesseranno’) il linguaggio della Pubblica Amministrazione appaiono preoccupanti in altro senso.

Qualsiasi linguista che si rispetti sa che la lingua è qualcosa di vivo, non inscrivibile in un provvedimento che ne limiti le naturali potenzialità di mutevolezza e ciò perché la lingua è fatta, perlopiù, da esseri umani che vivono, cambiano idea, assorbono influssi diversi, entrano in contatto con altre culture ecc.

Ecco perché una simile misura che tenda a plasmare la lingua, a farle prendere una direzione prestabilita come un ingegnere potrebbe fare con un fiume spostandone l’alveo, risulta risibile ed inutile. Non solo, sembra che l’onorevole Boldrini ed il presidente Renzi non ricordino quale fu l’ unico altro esempio di ingerenza ‘muscolare’ dello Stato nel formarsi della lingua: il Regio Decreto 2185 del 1923, quello che, in Era Fascista, impose l’italiano come unica lingua nelle scuole del Regno (in Alto Adige come pure in Dalmazia), aprendo la via alla discriminazione linguistica delle minoranze ivi residenti da secoli. Da esso, non serve ricordarlo, discesero poi l’adozione forzata del ‘Voi’ romano per sostituire il ‘Lei’ borghese, la mutazione dei toponimi da dialettali a latini (Girgenti in Agrigento, per dirne uno) ed infine la traduzione dei cognomi stranieri in italiano (Petrovich in Di Pietro e via dicendo).

Dante Alighieri

Possibile che esimi esponenti della sinistra nostrana finiscano sempre per varare norme che sembrano ispirate a periodi totalitari della nostra storia? Unica consolazione – ci sembra – può essere che a dispetto di quanto si voglia artificialmente intervenire sulla lingua essa tende, per sua dinamica naturale, a sfuggire a qualsiasi ingabbiamento: vi ricordate l’Esperanto, lingua artificiale che avrebbe dovuto sostituire tutte le lingue d’Europa? Oggi la parlano solo gli esperantisti riuniti in circoli culturali non dissimili da una bocciofila sintattica. Probabilmente, anche i nostri nipoti studieranno nei libri di storia questa ‘riforma’ linguistica come l’ennesimo buco nell’acqua del governo Renzi.

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