TaccolaOra non spariamo sul piano di Whirlpool. Le riflessioni di un sindacalista

Ci sono le proteste e i blocchi stradali, che si capiscono. Caserta ha una disoccupazione altissima e la chiusura di una fabbrica con oltre 800 dipendenti, quella della Whirlpool-Indesit, sarà una ...

Ci sono le proteste e i blocchi stradali, che si capiscono. Caserta ha una disoccupazione altissima e la chiusura di una fabbrica con oltre 800 dipendenti, quella della Whirlpool-Indesit, sarà una ferita che non si richiuderà in fretta, o forse mai. Lo denunciano i sindacati, che hanno dalla loro un punto difficilmente contestabile: il precedente Piano Italia di Indesit prevedeva che lo stabilimento di Carinaro (Ce) rimanesse aperto.

Gli stessi sindacalisti, però, fatta questa premessa, ti dicono dell’altro. «Il piano è difficile da smontare industrialmente», dice a Linkiesta il segretario nazionale della Fim Cisl Michele Zanocco. «Il concetto alla base del piano è che i siti hanno bisogno di volumi consistenti per recuperare complessivamente nei costi di produzione, che non comprendono solo i salari». La Whirlpool, aggiunge, «ha scelto di salire di gamma (con prodotti premium, ndr) e di portare in Italia il 70% della progettazione che si fa per il mercato occidentale. Questo è importante perché la produzione si può spostare, mentre in questo modo l’Italia non viene vista come sede solo degli stabilimenti ma come il Paese che realizza i concept».

Le scelte della Whirlpool le ha sintetizzate la stessa Fim:

·       allo stabilimento di Cassinetta (Va) sarà destinata la produzione di tutti gli elettrodomestici da incasso ( forni, microonde, frigoriferi Built-In) portando in Italia produzioni di microonde oggi sviluppate in Cina;

·       a Fabriano, che sarà totalmente reindustrializzata, si costituirà il polo produttivo di tutti i piani cottura (gas, induzione, ceramica) rientrando produzioni dalla Polonia e passando per la chiusura del sito di Albacina con il conseguente trasferimento dei dipendenti verso Melano;

·       lo stabilimento toscano di Siena continuerà a produrre i congelatori, riportando in Italia produzioni sviluppate in Cina;

·       a Comunanza proseguirà la produzione di lavatrici a cui si aggiungeranno le lavasciuga precedentemente costruite in Turchia:

·       a Napoli si produrranno le lavatrici ad alta capacità. 

«Ogni posto di lavoro perso è un dramma, soprattutto se in aree desertificate dal punto di vista industriale – spiega Zancotto -. Se però vedo la questione dal punto di vista industriale, alla luce dei casi passati di Ansaldo Breda, Fiat, Parmalat, oggi, per quello che ci capita attorno, la fusione di grandi soggetti industriali è uno strumento per far vivere quello che metti insieme. Questo è un processo ineludibile: il piccolo è bello lo abbiamo sempre denunciato». 

Se gli altri sindacati, aggiunge, «rifiutano questi processi, pensando che la soluzione sia statalizzare, hanno in mente un modello dell’800: ora i confini che c’erano dal punto di vista dei mercati non ci sono più. Non ci si può difendere rimanendo piccoli ma generando processi di sviluppo. Il problema è che se questi processi arrivano in una fase di sviluppo, si mantiene l’occupazione; se arrivano in fasi di contrazione come l’attuale, si producono quelli che l’azienda chiama “danni collaterali”». 

La conclusione è da sindacalista: «Il Mise ha chiarito che il problema sono i 1.350 dipendenti a rischio, non solo i 400 esuberi in più. Contiamo sul fatto che il governo si è impegnato a considerare la proposta di Whirlpool come un punto di partenza e non di arrivo. La responsabilità dell’accordo del 2013 se l’è presa il governo e penso che il ministero studi tutti le sue carte per recuperare i punti negativi, con tutti gli strumenti che potrà mettere a disposizione». Con altri soggetti industriali? «Noi per ora abbiamo di fronte la Whirlpool e ragioniamo con la Whirlpool». «È ovvio pensare che una multinazionale che è prima in cinque settori su sette nell’Emea ed è un colosso per numero di dipendenti, debba tenere un ruolo sociale pari al suo peso». 

Tradotto: lo stabilimento di Caserta non ha speranze di essere salvato nel piano della multinazionale americana. Ci potrà pensare il governo, magari facendo pagare alla Whirpool parte dei costi della reindustrializzazione, e non è detto che una soluzione si trovi. Il caso di Termini Imerese dice quanto queste operazioni siano lunghe, costose ed esposte a speculatori o millantatori (questo prima della svolta di Natale). Dice anche che il Sud, al di là di start up e piccoli gioielli, non ha prospettive industriali se non con respirazioni artificiali. Né il governo pare porsi il tema tra le sue priorità. 

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