The ®esistanceTribunale di Milano: il giorno dopo siamo al sicuro

Sparatoria a Palazzo di Giustizia a Milano Un delirio paranoide. Si era convinto di essere vittima di un complotto. Claudio Giardiello pensava che tutti fossero contro di lui, compresi i suo...

Sparatoria a Palazzo di Giustizia a Milano

Un delirio paranoide. Si era convinto di essere vittima di un complotto. Claudio Giardiello pensava che tutti fossero contro di lui, compresi i suoi avvocati. E quando si è in preda a un delirio, la realtà, quella vera, non conta più. La realtà diventa quella suggerita e imposta dalla propria falsa convinzione. Ma questo non significa affatto che lui non sapesse quel che stava facendo. Giovedì mattina ha “lucidamente” freddato, con la sua Beretta 98, tre persone nel Tribunale di Milano. Sciacquatevi la bocca prima di osannarlo come un eroe perché il “poveretto vittima della crisi e delle istituzioni”, dalla forte personalità maniacale, era imputato per bancarotta fraudolenta. Ed è un assassino. Accusato di omicidio plurimo aggravato dalla premeditazione, tentato omicidio e porto abusivo d’arma, Giardiello sarà interrogato domani nel carcere di Monza. Un interrogatorio rinviato ben due volte nel giro di quarantotto ore, per malori improvvisi del killer.

Che qualcosa non abbia funzionato nelle procedure di protezione del Palazzaccio è evidente, ma finora pare che un evento simile fosse stato ritenuto assolutamente poco probabile. Tanto da non prevedere un piano di emergenza specifico. Ma come, non siamo pieni di emergenze di ogni tipo? E quindi, non dovremmo essere pronti a tutto? L’imponderabile, infatti, è accaduto e il giovedì di sangue che ha fatto tremare Milano ha imposto nuove priorità. A cominciare da un nuovo piano di emergenza a Palazzo di Giustizia. Ora aumentano i controlli, ovviamente. Tanto per mostrare al popolo che loro, comodi comodi sulle poltrone del Palazzo, ci tengono all’incolumità delle persone. Che sono pronti a battersi per una maggior sicurezza. Hanno persino chiamato le pattuglie dell’Esercito. Ora che anche i militari vigilano gli ingressi del Palazzo di Giustizia, siamo al sicuro. Dal “giorno dopo”, siamo al sicuro. Chiaro? Per capire che le misure di sicurezza non erano adeguate ci doveva per forza scappare il morto? (Anzi tre). Perché si deve sempre aspettare che accada l’irrimediabile per rendersi conto che qualcosa non funziona? Perché siamo il paesello del primato dei ritardi, a cui fa comodo rimandare, che perde tempo in cose inutili, che discute del nulla e privilegia le parole ai fatti. La teoria (fumosa) alle decisioni pratiche.

La necessità di mettere ordine nella spesa pubblica fa sì che i risparmi, considerati necessari per raggiungere una maggiore efficienza, possono creare condizioni di fragilità. Il cammino della «spending review» sarà pure ad ostacoli, ma si dovrebbe fare più attenzione a non inciampare in errori. La scelta di risparmiare 2,8 milioni dall’elenco delle uscite previste per il Palazzo di Giustizia (e la conseguente decisione di ridurre il servizio delle guardie armate), era proprio necessario? Nella logica della riduzione delle uscite dovrebbe essere doveroso valutare cosa si può realmente tagliare senza ridurre la soglia di sicurezza. Si sarebbe potuto incidere su altre fonti di spreco, facilmente individuabili. Ma-per-carità! Guai a toccare i loro privilegi. L’amara constatazione è che, in questa ricerca legittima dei risparmi, complici un sistema di regole asfittiche e continui cortocircuiti tra Stato centrale e «periferia», cioè Regioni e Comuni, a pagare sono sempre i cittadini.

Più delle dichiarazioni ufficiali e delle polemiche, il gesto di insensata violenza sembra essere la metafora della nostra società malata. D’altronde siamo quelli a cui sparano alle spalle mentre lavoriamo.

Sicurezza, se ora ci sei, batti un colpo. Non di pistola.

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