Il caso è stato sollevato dalla Casa della Legalità e dal suo presidente Christian Abbondanza. L’amicizia tra il figlio di Palmiro Mafodda, Carmine e il candidato aspirante consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Daniele Comandini, ha fatto rumore e non poco. Due nomi che ai più diranno poco, ma che ha portato il Movimento 5 Stelle ligure a spaccarsi e a fare una figuraccia davanti ai suoi elettori, che per la maggiore però fanno finta di non vedere, così come i parlamentari del Movimento di Grillo.
Ma cosa fa scoppiare il caso attorno a questi due “sconosciuti”? C’entrano gli impresentabili e la vicinanza sconveniente con le cosche della ‘ndrangheta, che in Liguria non sono “infiltrate”, ma letteralmente radicate da anni. Il punto di partenza è appunto un cognome, Mafodda. Carmine Mafodda, figlio incensurato di Palmiro, è l’animatore del meet up grillino di Arma di Taggia insieme allo stesso Comandini. Il padre di Palmiro è «ritenuto un elemento di spicco dell’omonima famiglia operante del comprensorio di Arma di Taggia (Imperia), ove ha rivelato la sua pericolosità ed è stata coinvolta in varie inchieste nelle quali era al centro di un proficuo traffico internazionale di stupefacenti. L’escalation criminale del gruppo, guidato dai fratelli Mafodda e con loro i cugini, incominciava a partire dagli anni ’80, riuscendo a intimidire la piccola delinquenza di Taggia, Arma, Riva Ligure e Santo Stefano al Mare, con la quale iniziavano poi un’intensa attività criminale legata alle estorsioni e al commercio».
Così il Ros dei Carabinieri descriveva la famiglia Mafodda nel 2011 un una informativa del 2011 che finì allegata all’indagine Maglio 3, portata avanti nel ponente ligure dalla procura di Genova. Tuttavia sono più d’uno i provvedimenti in cui compare il cognome di questa famiglia originaria di Palmi.
Carmine Mafodda è incensurato e le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, certo, ma al di là di accuse e vicinanze la gestione del caso da parte del Movimento 5 Stelle ha del grottesco e da questa storia viene fuori un insulto alla memoria di Peppino Impastato e una presa in giro degli elettori.
Dopo un lungo silenzio la dichiarazione della candidata del Movimento alla presidenza di Regione Liguria Alice Salvatore è la seguente: «anche Peppino Impastato era figlio di un mafioso». Indubbiamente, salvo ignorare che, scrive Abbondanza della Casa della Legalità “Peppino Impastato ha ripudiato il padre, non solo distaccandosi radicalmente da questi e dall’ambiente mafioso a cui il padre apparteneva, ma lo ha fatto pubblicamente, con assoluta nettezza e senza la minima ambiguità”. “Mafodda – scrive ancora Abbondanza – mai si è distaccato da quella famiglia, mai ha ripudiato il padre e la famiglia, restandoci, invece, costantemente legato”.
Sul punto è intervenuto anche il fratelli di Peppino Impastato: «La storia di Peppino è conosciuta da tutti, è una figura di rilievo internazionale che non può essere strumentalizzata da nessuno e in nessuna occasione, elettorale e non. Non abbiamo mai negato il carattere mafioso della nostra famiglia, ma Peppino ne ha preso le distanze fin da subito, ha lottato e ne ha pagato con la sua vita»
Ugualmente Comandini rivendica la sua amicizia con Mafodda, «siamo persone per bene, incensurate ed oneste». Pochi giorni dopo però lo stesso annuncia su Facebook «meglio le mie dimissioni ora che tradire l’elettorato dopo aver conseguito consensi, che cari signori del fango sapevate che ci sarebbero stati e del tutto trasparenti».
La vicenda dal ponente ligure arriva in tv e al programma L’Aria che Tira sul La7 condotto da Myrta Merlino Alice Salvatore annuncia: «Comandini si ritira (…) ha firmato una promessa al pubblico in cui si impegna». Bene, bravi, bis. Rincara anche un altro grillino di peso, Roberto Fico: «se facessero così tutti gli altri partiti probabilmente avremmo liste zero… da altre parti».
Peccato sia tutto un bluff targato Movimento 5 Stelle. Il Consiglio di Stato infatti nelle istruzioni del ministero dell’Interno fa sapere che una «rinuncia autenticata» del candidato può essere inviata alla Prefettura del comune di competenza, alla Corte di Appello o al Comune stesso. Perché la promessa al pubblico è un atto tra privati, mentre per la rinuncia alla candidatura, è infatti necessaria la “rinuncia autenticata”.
Antonio Amorosi di Libero si prende la briga di chiamare tutti e tre gli uffici, ma da lì confermano che non è arrivata alcuna rinuncia, «i manifesti sono in stampa». Per inciso, se venisse eletto, nota ancora Amorosi, Comandini può lasciare il Movimento 5 Stelle senza problemi e rimanere in Consiglio Regionale.
Ecco il piccolo Bignami targato 5 Stelle per infangare la memoria di Peppino Impastato e prendere in giro i suoi elettori e l’intelligenza dei cittadini che dicono di voler portare in palmo di mano. Intanto intorno a questa vicenda c’è tanto silenzio da parte dei big. Gli impresentabili dunque, checchè ne dicano quelli del Movimento, stanno dappertutto, e in questo caso forse più dei candidati, gli impresentabili sono quelli che hanno preso in giro l’intelligenza delle persone.