Pizza ConnectionDiplomazia al caviale in salsa romana

Lo scorso 20 maggio, avvicinandosi la prima edizione dei Giochi Olimpici Europei (che si terranno a Baku dal prossimo 12 giugno), abbiamo dato conto del malcontento che circola tra gli attivisti pe...

Lo scorso 20 maggio, avvicinandosi la prima edizione dei Giochi Olimpici Europei (che si terranno a Baku dal prossimo 12 giugno), abbiamo dato conto del malcontento che circola tra gli attivisti per i diritti umani nei confronti dello stato Azero, base degli stessi Giochi. Prigionieri politici, osservatori per i diritti umani arrestati e una democrazia monca, di quelle con i vincitori che rastrellano l’85% dei consensi. Insomma, come l’ingresso nel mondo del calcio, anche questi Giochi Olimpici Europei, già una contraddizione in termini, sembra essere l’ennesimo tentativo di accreditamento da parte dell’Azerbaijan con le istituzioni e soprattutto l’economia europea. In ballo business, e soprattutto gas, in particolare con l’affare del Tap, il metanodotto lungo 871 chilometri e che collegherà l’Azerbaijan con l’Europa, e che avrà uno dei suoi approdi nel Salento. Come scriveva anche Il Sole 24 Ore “il piccolo Azerbaijan è un paese ricco di petrolio e, soprattutto, di gas naturale. Quel metano che dal 2019 comincerà ad approdare sulle coste italiane attraverso il “Trans Adriatic Pipeline”, permettendo all’Europa di alleviare la sua scomoda dipendenza energetica dalla Russia”.

Così si mette in moto quella che viene definitia “caviar diplomacy” ovvero la diplomazia al caviale: cioè quella diplomazia tipica di alcuni paesi ex-sovietici pronti ad acquisire consenso e mediazione, solitamente con l’elargizione di denaro, anche per cause in apparenza irreprensibili. Alcuni casi ne abbiamo anche in Italia, in particolare a Roma. Uno riguarda i recenti scavi sotto la via Alessandrina: la donazione da un milione di euro, scriveva l’edizione locale de La Repubblica il 15 luglio del 2014, permetterà di riprendere gli scavi nell’area dei Fori Imperiali. Un primo passo verso la creazione del Parco dell’area archeologica centrale, che prevede in futuro la rimozione del tratto settentrionale di via Alessandrina per riunificare i fori di Traiano, Augusto e Nerva. «Per il progetto complessivo — ha spiegato Marino — servirebbero 4 milioni, ma il mecenatismo dell’Azerbaijan ci permetterà di cominciare a scavare sotto il primo tratto di via Alessandrina, realizzando quanto Rutelli aveva immaginato 15 anni fa». Mecenatismo che, se mai si dovesse discutere di prendere più o meno posizione sui diritti umani azeri, potrebbe contribuire a tenere qualche bocca chiusa. È la realpolitik, bellezza, e una parte l’abbiamo vista in occasione del ricordo del genocidio armeno.

Due anni prima, nel 2012 durante l’amministrazione Alemanno, ad arrivare a Roma invece non sono solo soldi o delegati azeri, ma è addirittura una statua collocata in quel di Villa Borghese, che dovrebbe essere un inno alla cultura a cielo aperto. La statua è quella di Nizami Ganjavi, poeta vissuto tra il 1141 e il 1209 in Persia. La storia vorrebbe che fosse definito come “Poeta persiano”, ma l’Azerbaijan lo celebra come suo poeta nazionale, benchè lo stesso scrivesse in ligua persiana e lo stato azero avrebbe visto la luce secoli e secoli dopo. Quest’ultima riflessione però i notabili azeri non la colgono e arrivano con la statua che recita “Nizami Ganjavi – Poeta azerbagiano”. La statua diventa meta fissa per tutti gli ospiti istituzionali azeri e tanti saluti alla storia.

La statua di Nizami Ganjavi a Villa Borghese/Urek Meniashvili/WikiMedia (CC)

Non a caso inizialmente la sovrintendenza ai beni culturali del Comune non era dell’idea di far installare la statua con quella didascalia a Villa Borghese, che rimane uno dei siti culturali più importanti d’Europa. Oltre alla sovrintendenza si era opposta anche la persianista, docente dell’Università La Sapienza di Roma, Paola Orsatti e con lei altri docenti, “Questa didascalia – scriveva Orsatti – rappresenta un anacronismo, frutto di una grave distorsione della realtà storica, linguistica e culturale della regione. Essa ignora il fatto fondamentale che il poeta Nezami di Ganje (1141-1209 ca.) compose tutte le sue opere unicamente in lingua persiana, e dunque non può essere definito altro che “poeta persiano”.  Definire Nezami “poeta Azerbaigiano” equivale – tanto per dare un’idea al pubblico italiano – a definire Erodoto “storico turco”, anziché “storico greco”, solo perché l’antica Alicarnasso, patria di Erodoto, si trova nel territorio dell’attuale Turchia.

Alla fine la statua arriva e il poeta rimane “azerbaijano”, e con la statua, a proposito di diplomazia al caviale, arrivano pure 110mila euro donati a Roma Capitale dalla fondazione Heydar Aliyev “da impiegare nell’intervento di restauro di elementi architettonici e delle opere della Sala dei Filosofi di Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini”. Ma chi è Heydar Aliyev? L’ex presidente azero che ha dominato la vita politica dell’Azerbaijan nell’ultimo trentennio, lasciando poi l’eredità al figlio Ilham in punto di morte nel 2003. Che la “caviar diplomacy” continui: «dalla prospettiva azera – racconta un funzionario diplomatico a Linkiesta – è anche giusto tenersi buono un Paese strategico, come è l’Italia, ma la cultura andrebbe trattata meglio».

Una foto dei fori imperiali da Wikipedia, pubblicata sotto licenza CC BY-SA 2.0

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