LogosL’OCCIDENTE INDIFFERENTE ALLA STORIA

Settant’anni fa, volgeva al termine il drammatico scenario della Seconda Guerra mondiale. Quello che nella folle mente nazista, avrebbe dovuto dimostrarsi come un conflitto “lampo”, dagli effetti i...

Settant’anni fa, volgeva al termine il drammatico scenario della Seconda Guerra mondiale. Quello che nella folle mente nazista, avrebbe dovuto dimostrarsi come un conflitto “lampo”, dagli effetti immediati e dalla brevissima durata, si trasformò in pochi mesi in una piaga disumana,  capace di trattenere l’intera Europa in ostaggio per lunghi tragici anni.

Le tristi vicende che interessarono quel periodo e che macchiarono la società in maniera indelebile, certamente meriterebbero di essere ben incise nella memoria collettiva e, in particolare, in una società desiderosa di definirsi “civile”. Eppure un recente avvenimento porta a pensare come l’Europa, oggi, non voglia condividere appieno questa impellente necessità.

Il 9 maggio scorso, proprio per celebrare il grande anniversario dalla fine della guerra, la Russia di Putin inscenava a Mosca, sull’enorme Piazza Rossa, all’ombra del Cremlino e, più in lontananza, delle guglie colorate della Basilica di san Basilio, una delle più spettacolari (nel senso letterale del termine) parate militari a cui si possa assistere, allo scopo di onorare la storica vittoria sul nazismo. Il fatto che più ha causato imbarazzo è l’assenza dei più importanti leader europei ed occidentali, i quali hanno preferito non presenziare in virtù delle più recenti vicende ucraine.

Piaccia o meno, ci sono buoni motivi per credere che questa non partecipazione alla celebrazione, da parte di coloro che pur contribuirono alla liberazione dell’Europa, proprio insieme alla ex Unione Sovietica, sia stato un vero passo falso e totalmente inopportuno. Non tanto per una questione di diplomazia, o meglio di mantenimento di buoni rapporti con la vicina Russia; piuttosto per il valore morale e storico che questo evento rappresentava.

Garantire la presenza dell’Occidente ad una celebrazione simile avrebbe fatto prevalere il significato dell’evento in sé, cioè quei 70 anni di pur fragile stabilità e pace che da quell’8 maggio 1945 il continente europeo ha imparato a conoscere. Alla realpolitik dunque, per una volta, avrebbe potuto prevalere un politica dell’umano, della condivisione di certi momenti unici ed essenziali offerti dalla Storia e dalla memoria.

Ma l’Europa si è dimostrata distratta e cinica. Talmente impegnata a fare altro (cosa?), da non porsi nemmeno la priorità di omaggiare, in modo coeso ed unanime, più di 50 milioni di vittime.

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