Un mio amico si sposa e ha deciso, nel giorno del suo matrimonio, di organizzare una partita di calcetto tra gli invitati, in cui si rimetterà in scena la finale Juventus – Barcelona, perché il mio amico afferma di non aver ancora elaborato il trauma della sconfitta. Io essendo di fede non juventina giocherò con la maglia blaugrana ed immagino, essendo un evento che serve ad elaborare un trauma, che dovremmo far vincere in qualche modo la Juventus.
Questo non vuole essere un articolo in cui prendo in giro la Juventus e i juventini per la loro sconfitta a Berlino: prima di tutto sono fuori tempo massimo, secondo la mia squadra una finale del genere se la sogna e terzo non ho goduto assolutamente per la sconfitta della Juventus dal momento che il Barcelona era molto più forte (se i gobbi fossero usciti con il Dortmund o col Monaco ovvio che avrei goduto, ma ciò non è successo, quindi chapeau). Questo non vuole essere nemmeno un articolo in cui derido il matrimonio, oppure dove affermo che il matrimonio sarà il vero trauma da superare per il mio amico: essendo io un simpatico reazionario sono felice che la gente si sposi e che soprattutto faccia i figli.
Volevo parlare dell’elaborazione dei traumi calcistici. Quando il mio amico mi ha parlato dei processi ossessivi che la finale di Berlino gli stava creando, mi sono ricordato che anche io ho un trauma a cui ritorno sempre, quasi ciclicamente: si tratta di Roma – Slavia Praga, ritorno del quarto di finale di coppa Uefa giocatosi all’Olimpico il 19 marzo del 1996. Avevo 10 anni e quella fu la mia prima e fondamentale tappa nel processo di educazione sentimentale al calcio, tappa a cui torno ogni volta che un trauma sportivo torna a travolgermi.
Nell’andata del 5 marzo la Roma aveva perso 0-2 a Praga e per passare il turno, ovviamente, sarebbe servita l’impresa nella partita di ritorno. Sinceramente non ricordo cosa successe in città in vista di quella partita, ma ricordo quell’atmosfera strana, quel concentrarsi di moltissime persone verso un unico pensiero, quel passare le ore della giornata tutte focalizzate verso quello che succederà la sera (la prima volta che avevo avvertito questo clima fu nell’estate dei mondiali del 1994: nessuno per strada, la corsa per andare a prendere la pizza per mangiarla vedendo la partita…). Era un’impresa difficile, quella Roma era una veramente una squadretta (era la Rometta, come la chiamavamo) e anche se avessimo passato il turno, quali speranze avevamo di vincere la coppa Uefa?
Non aveva senso, eppure qualche cosa successe: complice un tam tam mediatico (non c’erano i social network ed erano molte meno le radio sportive, forse bastò il Corriere dello Sport al bar) lo stadio fece il tutto esaurito, il CUCS ruggì forse per l’ultima volta colorando tutto lo stadio con la scritta NON MOLLEREMO MAI e tutta la città si fermò per vivere quella partita.
Cercherò di farla breve: la vita è molto più dura del calcio (non ho dubbi) e ci sono state sconfitte più cocenti nella storia della mia squadra (delle altre squadre che me frega?): la finale col Liverpool (per fortuna non ero nato), lo scudetto buttato perdendo con il Lecce retrocesso (per fortuna non ero nato), finali di coppa Uefa e coppa Italia perse, derby scottanti, la morte di Agostino, l’anno della rincorsa all’Inter bruciata dalla sconfitta con la Sampdoria di Pazzini, ma quell’inutile Roma – Slavia Praga per me è ancora più terribile.
Il film della partita lo trovate qui https://www.youtube.com/watch?v=FUi9aw3ZcWY, ed insomma la Roma segna due gol nei tempi regolamentari, ai supplementari segna il terzo gol che gli vale la qualificazione ma al ‘7 del secondo tempo supplementare Vavra batte Cervone e la partita finirà poi con quel risultato (io per anni ho maledetto Cervone, e sono anni che penso che almeno si poteva buttare, che l’animacciasua era alto due metri, che se se buttava, magari poteva farcela).
Ma il momento epico della partita, quello che guardo di continuo, è il gol del pareggio alla conta, quello del 2-0 firmato dall’allora capitano Giuseppe Giannini https://www.youtube.com/watch?v=iwv4k5WUc8Y e di questo gol ricordo tutto e dentro ci trovo tutto: il boato dello stadio che percepisci anche dentro al televisore, l’urlo folle di tutto il palazzo che stava vedendo la partita (e tutti i palazzi intorno all’unisono, che la partita la davano solo alla Rai e non c’era nessuno in differita come adesso), quella corsa folle con quella smorfia di dolore di Giannini sotto la Sud stracolma che gli piomba quasi addosso, e tutta la squadra a corrergli dietro, i raccattapalle a corrergli dietro, tutti dietro ai capelli al vento del loro capitano…
…ora Giannini i capelli non ce l’ha più, ed ha avuto anche qualche problemino con la giustizia. Giuseppe Giannini non era neanche molto simpatico, ma quella corsa in quella sconfitta rappresenta molto di un certo assurdo spirito di amare il calcio:
“Si è tolto la maglia Giannini…”
“E poi c’è chi non crede alle favole…”.
Giannini non era simpatico dicevamo, ma non era un giocatore scarso ed anche lui probabilmente ha sacrificato la sua carriera decidendo di rimanere alla Roma ed esserne il capitano, e si può dire che da questa fedeltà non ha avuto quasi niente in cambio: a differenza di Totti e Di Bartolomei non ha vinto nemmeno lo scudetto, quella Roma era veramente una squadra molto mediocre, ha avuto molti dissapori con l’ambiente (ma questo è successo anche agli altri), il suo addio al calcio è stato rovinato all’Olimpico dalla nostra endemica idiozia e gli attuali tifosi della Roma lo hanno inserito nella Hall of fame della società solo nella seconda tornata (leggi: premio di consolazione).
Giannini ha avuto la grande sfortuna di essere il capitano della Roma prima di Francesco Totti, un Totti che ha fatto eclissare il ricordo di Giannini (e che farà eclissare, per molto tempo, anche quelli che verranno dopo di lui), eppure Giannini era il capitano di quella Roma, il capitano di quella gente, il mito dei bambini romani (anche di Francesco Totti, che aveva il suo poster in camera) e soprattutto si prese sempre la responsabilità del ruolo che ricopriva.
(Due anni prima ad esempio, il 6 marzo 1994 a 10 minuti dalla fine della partita, Giannini sbagliava un rigore durante il derby, lasciando così il risultato di 1-0 in favore della Lazio. I mugugni e le contestazioni verso il capitano non si sprecarono, anche perché la Roma si muoveva verso la zona retrocessione. Il 20 maggio la Roma va in casa di un Foggia che è nella parte alta della classifica, i pugliesi passano in vantaggio ma al ’29 del secondo tempo Giannini pareggia, salvando la Roma dal baratro https://www.youtube.com/watch?v=3YvPYL9ryjY
“…una bomba del capitano, c’ha mandato dentro pure l’anima…”)
Quando ho detto al mio amico che il suo trauma mi ricordava il mio, di trauma, lui mi ha risposto che il mio era “solo un quarto di finale di coppa Uefa”. Ovviamente da un gobbo non potevo aspettarmi niente di meglio, ma non ho risposto: ho riguardato il video di Giannini, ho pensato che se finiva 3-0 sarebbe stato lui il capitano di quell’impresa, ho pensato la vita è ingiusta come il gol di Vavra che ti gela il cuore dopo che ti sei dannato l’anima per vincere e che il dolore pazzo dell’amore lo si vive a volte correndo sotto la Sud, ma a volte anche rimanendo in un aristocratico silenzio.
“…è un Principe che ha preso sotto braccio la sua Roma!”
p.s. Ovviamente, farò di tutto per vincere al Barcelona la replica della partita durante il matrimonio.