L’Italia non è un paese per letterati, o non lo è per quel 90% di maturandi che quest’anno hanno sostenuto la prima prova di maturità.
Il ministero qualche giorno fa ha diffuso i dati sulle tracce preferite dagli studenti durante il tema scritto. Davanti a loro diverse possibilità – ambiti, pardon– insomma “scelte”, quelle che i ragazzi alla soglia della maggiore età prendono davanti a quel foglio. In quell’attimo esatto scrivono un po’ del loro futuro, e forse inconsapevolmente sono per tutti noi lo specchio di un paese, pieno di ritardi che ormai da molto tempo non si riducono più.
Come un copione che si rispetti anche quest’anno la trama si è ripetuta: l’analisi del testo è stata tra le ultime scelte, per non dire la meno considerata.
Casualità? Sarebbe la ragione più semplice da avanzare, cosi da evitare l’analisi e l’approfondimento, ma forse è anche il caso di parlare di tendenza. Gli studenti italiani non sono umanisti, o almeno non vogliono esserlo alla maturità – i dati parlano chiaro. Se infatti si guarda agli anni passati, la percentuale di studenti che dal 2009 al 2015 hanno scelto l’analisi del testo è bassa, per non dire preoccupante. La media si aggira intorno al 9%.
Quest’anno soltanto il 9% dei 500 mila maturandi hanno scelto l’analisi del testo di Calvino, di questi solo il 13% – e anche qui il dato fa riflettere e in parte preoccupare- si riscontra nei licei.
Nel 2014 fu «subito sera» sull’analisi testuale di “Ride la gazza, nera sugli aranci” di Quasimodo, che non raggiunse neanche la soglia minima (4%).
Nel 2013 l’analisi del testo si piazzò al terzo posto (15%) con Magris (chi?!?!) e l’ “infinito viaggiare”.
Il povero Montale nel lontano 2012, sebbene dicesse di «non aver molto da ardere», fu snobbato dai più, solo il 9%,lo scelse alla prima prova di maturità.
Nel 2010 fu la volta di Primo Levi, all’epoca fu proposta l’analisi della Prefazione de “La ricerca delle radici. Antologia personale”. Un risultato negativo anche all’ora, quando fu il 4,7% ad azzardare una scelta “troppo difficile”?
Bisogna fare un salto nel 2009, per tirare un sospiro di sollievo, all’epoca infatti, conquisto il secondo posto Svevo e un brano de “La Coscienza di Zeno”, preferito dal 18,2% dei ragazzi.
Se l’analisi del testo è il fanalino di coda della maturità, il saggio breve di ambito tecnico-scientifico è il podista che negli ultimi anni ha scalato le classifiche senza fatica, probabilmente grazie alla banalità della proposta e alla tendenza alla la strada più facile perseguita dai maturandi, che vedono nella possibilità di usare molte fonti, una maniera per arginare la difficoltà ed evitare così il rischio di vedersi scivolare tra le dita i punti agognati per la media finale – quando si capirà che il voto è solo un variabile e convenzionale mezzo di giudizio?.
Nel corso di questi anni i temi dell’ambito tecnico-scientifico presentati ai candidati si sono rivelati ovvi (da leggere anche un commento alle tracce d’esame di Raffaello Masci), “misteriosamente” circoscritti ad una rivoluzione “social e tecnologica”, la cui potenza si era esaurita già ai tempi in cui fu davvero una novità: per intenderci, quando esplosero fenomeni come Facebook che, di fatto, cambiarono il modo di interagire e di fare comunità,virtuale.
Superando per un attimo le scelte dei ragazzi e quelle del ministero, c’è un altro elemento di analisi, che esula in parte gli studenti dalle scelte, e che per onesta intellettuale è necessario mettere sul piatto. Se l’analisi del testo è scelto da una percentuale bassa, il motivo lo si può trovare nei ritardi imperdonabili dei programmi scolastici, e nella incapacità di trasmettere tra i banchi il giusto senso critico, per insegnare a leggere e comprendere oltre le righe. Le scuole che riescono a traghettare gli studenti del quinto anno nel pieno Novecento, sono ben pochi. Sono sempre meno i pionieri e gli avventurieri che riescono a superare certi orizzonti e a vedere la “luce del futuro”, passato, addentrandosi nelle analisi di autori del pieno Novecento. Secondo una recente indagine, il 35% degli studenti ha dichiarato di non arrivare a studiare gli autori del Novecento, di questi un 5% non ha neanche terminato l’Ottocento.
Non siamo qui per cercare colpevoli o dare delle colpe, sarebbe fin troppo facile. Siamo qui a riflettere sul perché un paese, genitore di artisti e poeti, non spende tutte le proprie energie per inculcare ai ragazzi la forza della letteratura; perché non si adopera per trasmettere l’importanza di un verso poetico o di un capitolo di un romanzo. Porre rimedio a questo imperdonabile errore ci permetterebbe di capire quanto abbia più valore la letteratura,rispetto ad una ennesima analisi sull’oggi con l’ausilio delle rivoluzioni tecnologiche. Dare priorità alla cultura potrebbe farci ritrovare quel senso di appartenenza perduto, di cui andiamo disperatamente alla ricerca.
Siamo qui a sostenere che un capolavoro letterario, sebbene avanti con gli anni, vecchio o passato, conserva in modo ineluttabile la radice del presente, di cui dobbiamo cibarci costantemente per non smettere mai di essere affamati di cambiamento.
Carmine Zaccaro