La City dei TartariLa competenza, sia politica

Nel suo libro ‘Uprising – On Poetry and Finance’ (edizioni semiotext€, 2012), Franco ‘Bifo’ Berardi, teorico marxista e rappresentante della generazione post-sessantottina di pensatori radicali e r...

Nel suo libro ‘Uprising – On Poetry and Finance’ (edizioni semiotext€, 2012), Franco ‘Bifo’ Berardi, teorico marxista e rappresentante della generazione post-sessantottina di pensatori radicali e rivoluzionari (uno Zizek meno ombroso), descrive il concetto di irreversibilità nel contesto dei processi socio-economici: in un percorso accidentato di grandi trasformazioni della nostra società, e nel mondo post-Lehmaniano e post-Enroniano, Berardi ci conferma, se non l’avessimo compreso negli ultimi giorni, che non viviamo più in un mondo circolare, dove agli esiti negativi seguono soluzioni positive. Siamo usciti dall’idea hollywoodiana che il bene possa vincere sempre, che a venti anni di usurpatori seguiranno venti anni di benefattori, che ogni guerra debba essere vinta dai buoni. Questo perché viviamo in un’era dove la complessità crescente e la rarefazione elettronica delle relazioni impone realismo. La velocità delle trasformazioni, delle informazioni, delle decisioni da prendere trascende ormai la capacità degli strumenti tradizionali. Più siamo connessi, più siamo esposti ad una relativizzazione dell’esito, soprattutto in un mondo dove la memoria continua ad abitare in permanenza, in maniera tangibile e recuperabile. Non si butta più via niente. Tempi irreversibili e dove ogni dato viene riciclato e riproposto. Una menzogna ripetuta 10.000 volte diventa una verità eterna.

E, nella società, più informazione abbiamo, più dobbiamo fare i conti con le visioni degli altri. È impossibile sospendere il giudizio e, laddove ogni guerra un tempo era santa, oggi ogni azione bellica racconta con dovizia di particolari, immagini e testimonianze video, la drammaticità dell’impatto sugli innocenti e sui civili anche delle cosiddette azioni antiterroristiche. Nessuno è dentro le scatole nere, e niente viene più filtrato ed addomesticato, che, seppur sembri un principio non molto libertario, in realtà ha permesso alla società di evitare le spirali di rancore e sconforto delle propagazioni di notizie allarmanti a cui assistiamo in questi anni.

Bifo Berardi dice che «è sempre più difficile per qualcuno della mia [NdA quella dei sessantottini] generazione interrompere quell’automatismo intellettuale della dialettica del lieto fine». Tutto sta diventando irreversibile, immutabilmente diverso dallo ieri. Nella finanza e nella meterologia. Ed in ogni altro ambito. La capacità del sistema di rigenerarsi sta diventando una attitudine sistemica e caotica all’imprevisto ed al nuovo.

Il soggetto politico comincia solo ora ad accusare questa ondata di cambiamenti: non riesce più a cambiare la fortuna, questa forza, per Machiavelli, di natura femminile (cito sempre Berardi), assoggetandola al suo servizio. La fortuna è diventata una forza, della natura, della società, degli eventi, del trading automatico ad altissima intensità, delle decisioni che vengono prese in contesti dove anche il piu’ grande potente della terra non ha più controllo, mediatico, reale, virtuale, se non assecondando ogni volta una massa critica, un gruppo di influenza. Il quale non è più l’ambito degli opinion makers, dato che oggi tutti possono esprimere le loro idee, e le loro critiche, senza filtri. Lo spin è andato fuori controllo, come se ad un certo punto di questa oscillazione della verità ci fosse stato un punto di sbilanciamento.

Ogni politico lo sa, quando viene assalito da un cluster bombing di opinioni. Il mondo sta definendosi non rispetto ad uno stock di eventi, ma ad un flusso costante del cambiamento irreversibile descritto da Berardi. Viviamo nel flusso, nel fiume di Eraclito, o, sempre più, in quello di Bruce Springsteen, dove le memorie tornano, come un flusso di sogni o di incubi, a maledirci. Chi fa politica oggi, o chi vive nel mondo delle relazioni sociali, qualunque sia il ruolo, sa che viviamo immersi in una forma di reminiscenza elettrogenerata, di fatti, date, ricette, gatti, ed errori che torneranno sempre ad essere ricordati.

Oggi, la politica dimostra che manca ancora qualcosa alla sua mutazione, per assecondare questo nuovo mondo di Helvetica e di fact checking. Mancano nuove strutture decisionali, e manca  la governance. In queste settimane di grandi tensioni geopolitiche e finanziarie, si nota che la politica sta perdendo il suo primato morale di disciplina dell’esserci, perchè nel mondo trasparente ed indomito di oggi, improvvisamente, non conta più il look, la cravatta giusta, l’atteggiamento spavaldo, ultimo vero retaggio di un mondo anni novanta (in cui molti dei leader attuali sono cresciuti), e la promessa elettorale che non diventa legge.

Contano e conteranno sempre di più competenza, tecnicalità. Sarà vitale la capacità non solo di reagire, ma di prevedere gli eventi, di saperli gestire quando accadono. Ricordatevi il volto di George W. Bush dopo le torri gemelle, nella scuola. In quel momento tutto il suo potere di Potus era stato eliminato dagli eventi. Da semidio a uomo.

I politici lo cercano il podio, lo impongono a chi ascolta, come scrutano le loro audience per trovare dichiarazioni ad effetto e con questo si rendono sempre più trasparenti e vulnerabili, ad un mondo dove ci vogliono persone che chiedono soluzioni, che invocano realismo contro la retorica.

Un politico del prossimo periodo dovrebbe governare come se il potere politico fosse un’app da scrivere ogni giorno, a cui togliere i bug, dove capire le dinamiche che lo sfideranno. La culla della democrazia non è mai stata la Grecia, ma i codici miniati che, trascritti da monaci irlandesi, magari da copie romane, ci hanno raccontato di Pericle, di Demostene, di Sparta e delle Termopili. Senza quei frati, non avremmo avuto mai un’eredità culturale europea, di cui ci vantiamo, spesso in maniera partigiana, senza renderci conto che siamo quella specie di rarità di democrazia, cultura e società benevolente, per quella stessa complessità che ci ha creato, la comunicazione come valore assoluto.

Il mezzo racconta il metodo. Il codice miniato, il libro, la Grundrisse e i testi poetico-politici del dopo guerra. Da Einaudi a Monet. Per secoli, il mezzo sono stati i politici oratori, quelli che sapevano spiegare od abbindolare. Mentre oggi, dove la complessità, come in Europa, esige una governance ferrea e disciplinata, questo tipo di politico fallisce, non riesce mai ad ottenere quello che vuole. Ansima in conferenza stampa e sta zitto nelle riunioni. Usa la democrazia e la sua retorica come un grimaldello che dovrebbe aprire ogni porta, ma non si rende conto che quelle porte funzionano con codici diversi, post-moderni. La competenza conterà sempre più, non solo la prosopopea. E non è un caso che ogni proposta di legge in molti paesi ad alta tecnicità della politica, o ogni azione del parlamento o dello stato, venga vagliata da commissioni di esperti, non legislativi, ma tecnici.

Tutto viene vagliato, verificato, misurato. Perchè la vera sfida è saper gestire questa complessità crescente, rendere docile questo processo di irreversibile trasformazione del mondo attorno. E chi continua ad affidarsi alla voce e al volto del bel politico, appartiene ad un passato senza ritorno. Perchè mentre ci sarà sempre un politico più pop o funky di un altro, ci sarà sempre un mercato per persone che abbiano esperienza e capacità di gestire il sublime complesso gioco di una società, che sia essa in crescita o in difficoltà.

Rinunciamo all’idea che tutto converga ad una vittoria del bene. In tempi strutturati e lamellari come questi, anche la definizione del bene ultimo comincia a vacillare: per i tedeschi del primo dopoguerra, come per gli inglesi affamati dai blocchi navali, la politica massima fu quella di impedire un ritorno di quella barbarie e di quella devastazione, non per sé, ma per le generazioni dei nipoti. Fu la ricerca del cibo a basso costo, dell’economia e dell’efficienza. Progresso attraverso la tecnica, lo chiamavano i ragazzi del Kraut Rock. Ed accettarono sacrifici, come proprio la generazione che lavorava mentre i sessantottini costruivano le loro teorie politiche, nei primi anni Settanta dell’Austerity, quel periodo eroico raccontato da Edoardo Nesi nel suo ultimo libro, ‘L’estate infinita’. Anni mirabili di formazione dell’ultima vera minuta classe dirigente in Italia, quella dei piccoli e medi imprenditori che fecroe sacrifici per un’idea di sconfitta del presente per un trionfo del futuro. O come accettazione che ogni futuro è una zona ignota, un territorio ancora da scoprire, ma che si costruisce, seppure nella sua ineluttabile incertezza, con le scelte difficili oggi. Con i sacrifici intergenerazionali.

Oggi la politica sta mutando. Gli amministratori delegati di società di internet, i banchieri centrali, hanno un potere molto più elevato che mai, di carattere sociale e poi politico: la mutazione della coscienza collettiva e delle condizioni della sopravvivenza e dell’evoluzione di società anche avanzate, o presunte tali, passa ormai dalla rete e dal credito, connectivity and affordability sono due parole inglesi chiave per capire il futuro. E non deve essere uno scandalo. Alle radici della nostra società, il politico, il borgomastro, il sindaco, erano amministratori, gestori del bene pubblico. La competenza e la sua affermazione sono i veri germi del nuovo umanesimo dei tempi irreversibili. Chi gestiva la piazza del mercato, nelle società medievali, le sue regole, gli orari, i dazi, creava poi reti di consenso. Perché tutto, essendo un processo, necessita di piccole o grandi variazioni, di meccaniche della trasformazione e dell’ambizione. E di regole e trattati che diventino anche essi evolutivi, dinamici. I tempi della Magna Charta, nonostante sia ancora un riferimento essenziale, sono lontani. Oggi dobbiamo spostarci dentro il cambiamento, abbracciandolo e rendendo le nostre strutture decisive esposte alle intemperie, alle modifiche. Al drafting continuo, a seconda delle esigenze.

Il futuro appartiene ad istituzioni che pensino come macchine e risolvono le equazioni complesse della società moderna. Macchine umane e pensanti, emotivamente capaci, perché non sia mai che l’empatia che esala oggi dai brandelli di buona politica in giro, non sia eliminata. La competenza non è mettere un robot al posto di un ministro, ma rendere operativi ed efficienti sistemi e decisioni, nel riconoscimento di valori fondamentali ed inalienabili della persona, della società, usando processi democratici anche antichi, ma ridefiniti in maniera nuova. Benvenuta, Competenza Politica.

I mondi dove ero stato prima scompaiono lentamente.

Corse con fogli in mano, documenti che vengono cambiati e diventano pietre, albe ad aspettare un silenzio assenso e la testa che gira attorno, alla ricerca di un segnale.

L’istante, ancora, spera. Tutto rimane sospeso. Il verbo ausiliario essere, mai come ora, una priorita’ da ripeterci a notte fonda. Avere diventa insignificante se non so chi sono’

KJ Okker – Notti Cicladiche

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Fast Animals and Slow Kids – Fammi Domande

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