Verso la fine del colloquio di maturità, la mia mente improvvisamente si ricordò di Ugo Foscolo e recitò al volo il celebre passo dei Sepolcri
Passati decenni dal lontano 1989, ho la consapevolezza di dire che il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa rappresenti l’urne de’ forti, un forte stimolo a compiere egregie cose. Nonostante sia stato barbaramente assassinato, Dalla Chiesa vive in tutti noi. Personalmente mi recherò domani in Piazza Diaz alle 18.30 per la commemorazione.
Il 3 settembre cade l’anniversario del barbaro assassinio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emmanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo.
Dalla Chiesa, sceso a Palermo nella primavera del 1982 come Prefetto, cercò di combattere il fenomeno mafioso – che lui conosceva bene avendo comandato dal 1966 al 1973 la legione dei carabinieri di Palermo – non solo a livello repressivo, ma lavorando sui diritti dei cittadini, ridotti a sudditi da parte della criminalità organizzata.
La A112 del Generale Dalla Chiesa crivellata di colpi |
Il giudice Gian Carlo Caselli, collaborator di Dalla Chiesa sul fronte del terrorismo – ha ricordato: “Dalla Chiesa ha occupato gran parte dei suoi 100 giorni come Prefetto di Palermo a parlare ai ragazzi delle scuole, agli operai dei cantieri navali, alla cittadinanza. Perchè sapeva che l’antimafia “delle manette” deve intrecciarsi con l’antimafia “dei diritti”. Altrimenti non si risolve nulla”. Caselli ha definito in passato il Generale Dalla Chiesa “un servitore dello Stato fino all’estremo sacrificio”.
Nell’intervista – testamento spiritual, tutta da leggere – a Giorgio Bocca 23 giorni prima di essere ucciso, il Generale Dalla Chiesa disse: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.
Dalla Chiesa impersonava il potere, che in Italia viene considerato un qualcosa di negativo. Occorre distinguere, tra potere responsabile e potere irresponsabile. Ci viene in soccorso Marco Vitale, economista d’impresa, che ha scritto in proposito una pagina notevole:
“Io insegno ai miei studenti che il potere è connaturato all’uomo; che non esiste attività umana senza potere, e che non esiste potere senza responsabilità; che la scelta è, piuttosto, tra i fini per i quali esercitare il piccolo o grande potere che ci viene assegnato, tra potere responsabile e potere irresponsabile; che non dobbiamo fuggire dal potere, ma anzi addestrarci a gestirlo, nelle grandi e nelle piccole cose, con responsabilità e per finalità positive. Paolo Baffi, il generale Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli: questi uomini, semplicemente facendo fino in fondo il loro dovere professionale, esercitavano un potere. Ed è una grande fortuna che, anche nei momenti più neri, vi siano uomini che non fuggono davanti alla necessità di esercitare, con responsabilità e con l’accettazione consapevole dei rischi connessi, il loro potere. La nostra società non è ammalata di troppo potere, ma, caso mai, di troppo poco potere, di potere troppo concentrato, di potere irresponsabile, che non viene chiamato a corrette rese di conto, di potere oscuro. Essa è piuttosto malata di ingiustizia”.
Segnalo il commovente ricordo cinematografico della nipote del Generale, Dora Dalla Chiesa.
Ti sia lieve la terra, caro Generale Dalla Chiesa.