Non sono così distanti, il sindaco di Milano e quello di Roma. Entrambi di centro-sinistra, più sinistra che centro. Entrambi partiti da outsider alle primarie e entrambi usciti trionfatori dalle medesime. Entrambi vincitori contro il candidato del centrodestra, spodestato dal proprio scranno. Entrambi investiti del mandato popolare di ridare la città ai cittadini, di aprire le porte alla partecipazione degli esclusi, di uscire dalla ristretta cerchia dei soliti noti. Entrambi riconosciuti da tutti, amici e nemici, come persone prima di tutto oneste. Entrambi con l’onore e l’onere di gestire un grande evento come Expo (Pisapia) o il Giubileo (Marino).
Fin qui le somiglianze. Le differenze però sono altrettante. Pisapia, una volta diventato Sindaco, allarga il bacino del suo consenso, ascolta, è conciliante e prova a muoversi in continuità con la giunta uscente– ad esempio, su Expo, sulle lottizzazioni di Porta Nuova e CityLife, sulle due nuove linee della metropolitana – provando a migliorare i progetti, semmai. Anche la comunicazione è diversa: Pisapia non si pone mai in alterità a un pezzo di città, ai suoi poteri forti. Piuttosto, cerca di portarli dalla sua parte. Ha problemi col Pd e con alcuni assessori, ma riesce a gestirli senza far crollare tutto. Rimette in ordine il bilancio e inverte la rotta a molte società partecipate, Atm su tutte. In ultimo, di fronte a inchieste come quelle su Expo, mantiene una posizione di rispetto e distacco nei confronti della procura, evitando di strumentalizzarle a fini politici, uscendone immacolato.
Marino, al contrario, si asserraglia nel fortino un minuto dopo essere eletto, silurando Goffredo Bettini, suo grande elettore e uomo, e viatico fondamentale per farsi accettare da una rete di potere locali – non necessariamente “marci” – che non si era certo scelto lui come primo cittadino. Non è una differenza da poco: ogni sua mossa, giusta o sbagliata che sia, è vissuta dalla città come uno strappo, un’imposizione dall’alto, figlia della presunzione del “marziano” di voler cambiare una città della quale non ha mai fatto parte, che non capisce e che non vuole capire. I rapporti con il Pd sono burrascosi, ma finiscono presto in piazza, alla mercé delle strumentalizzazioni avversari. Le partecipate? Un mezzo disastro, soprattutto Atac, l’azienda di trasporti, con un mese di sciopero bianco, in piena stagione estiva. E in Giunta non si contano le sostituzioni di assessori. Infine, prova a cavalcare l’inchiesta di Mafia Capitale a suo vantaggio, finendo per rimanervi invischiato, anche solo di striscio. Tutto questo, senza menzionare scivoloni mediatici come quello della Panda Rossa, delle vacanze ai Caraibi durante i lavori per il Giubileo, della polemica col Papa per il presunto invito a Philadelphia, al sinodo sulla famiglia, delle spese personali messe in nota spese.
Oggi Milano è una città in ascesa e Roma è un disastro. Forse non si può attribuire a loro ogni merito o ogni colpa. Ma un po’ – concedetecelo – sì
Entrambi, concludono l’avventura dopo solo un mandato. Tuttavia, Pisapia ne esce annunciando che non si ricandiderà, ricevendo – almeno pubblicamente – applausi e ponendo la sua amministrazione come un modello al quale dare continuità. Al contrario, Marino si fa dimettere, e anche in questo frangente riesce a risultare patetico, prendendosi venti giorni di tempo per ripensarci, lasciando alla sua coalizione la missione impossibile di trovare un candidato che accetti di correre in continuità con la sua amministrazione. Oggi Milano è una città in ascesa e Roma è un disastro. Forse non si può attribuire a loro ogni merito o ogni colpa. Ma un po’ – concedetecelo – sì.