I milioni di estimatori che a tutte le latitudini seguono le gesta di Frank Underwood, Barack Obama in testa, certamente apprezzano nello sceneggiato sul cinismo della politica lo pseudo-realismo che è tanto più accurato quanto più inverosimili si fanno le trame. Un po’ fiction, un po’ documentario, la serie Usa gioca su questi contrasti, punteggiata com’è dagli stacchi in cui il protagonista si rivolge in camera direttamente allo spettatore per anticipare le sue mosse.
Ma i suoi sceneggiatori certo non potevano prevedere che la finzione sarebbe stata superata dalla realtà, e non in qualche oscuro staterello vittima del satrapo di turno, ma in una delle più grandi democrazie del mondo. Perché la lotta di trincea in cui il governo di Dilma Rousseff è impegnato per garantirsi in Brasile giorno dopo giorno spazi di sopravvivenza politica ha tratti che sconfinano, a volte superano, l’inverosimiglianza. L’ultimo lo ha messo in luce il settimanale Carta Capital, diretto dall’italiano Mino Carta, che con un’osservazione ovvia, in base alla costituzione vigente, ha evidenziato che la feroce campagna contro il governo del Partido dos Trabalhadores avviata subito dopo la risicatissima vittoria alle presidenziali di un anno fa potrebbe (tra i tanti esiti oggi possibili) travolgere la presidente e il suo vice, Michel Temer, e innalzare alla carica più alta di Brasilia il presidente della camera Eduardo Cunha, convergentemente indicato da numerosi pentiti dell’operazione Lava-Jato (che indaga il maxi scandalo di corruzione intorno agli appalti della Petrobras, il colosso petrolifero di stato) come destinatario di tangenti per milioni di dollari, cinque dei quali ritrovati su un conto a lui intestato in una banca svizzera.
Il fatto che Cunha, esponente della “bancada evangelica” (i deputati che fanno riferimento alla fede evangelica, caratterizzata da una rigida morale) e uno dei più acerrimi nemici del governo, proprio in nome di presunti scivoloni etici dell’esecutivo (sul quale si moltiplicano le voci e i sospetti, ma finora nessun fatto concreto è emerso) possa contribuire alla sua caduta è certo un fatto paradossale.
Ma la crisi politica brasiliana si alimenta di tanti, troppi fronti aperti per il governo in carica. Passiamoli velocemente in rassegna.
Mercoledì 7 ottobre il TCU (Tribunal de contas da Uniao, una specie di Corte dei conti, in cui però 6 dei 9 membri sono di nomina politica) ha bocciato i conti federali 2014, accusando il governo di aver truccato il bilancio per ben 280 mld di reais (70 mld di euro al cambio attuale); si tratta di un semplice parere, e tuttavia è un fatto inedito, perché non accadeva dall’epoca Vargas, da oltre 60 anni. In un tentativo dell’ultima ora di ritardare la decisione il governo ha ricusato il relatore, accusato di aver anticipato il giudizio, ma senza esito, anzi apparendo come chi si voleva difendere dal processo, anziché nel processo, una strategia che a casa nostra non ha portato bene a Berlusconi. La decisione definitiva sarà ora del Congresso in seduta congiunta (che non avverrà prima di febbraio 2016, anche grazie al fatto che il presidente del Senato, responsabile del calendario dei lavori, è un alleato di Dilma), ma è un altro duro colpo alla credibilità della presidente. La bocciatura del bilancio statale, se e quando votata dal Congresso, è una delle cause di impeachment, per il quale fino al 7 ottobre mancavano elementi materiali.
Pochi giorni prima, proprio allo scopo di rabbonire un alleato di governo riottoso, e garantirsi una navigazione parlamentare meno tempestosa, la Rousseff aveva posto in essere un ampio rimpasto di governo, che nell’opinione di osservatori interni e esterni (tra cui il Financial Times) è stata una specie di resa al Partido do Movimento da Democracia Brasileira da un lato, e ai fedelissimi del suo padrino politico ed ex presidente Lula dall’altro. La presidente ha fatto una sorta di abdicazione, e Lula, che è egli stesso nel mirino di opposizione, media conservatori e giudici, avrebbe deciso di accelerare la sua discesa in campo per le elezioni 2018. Tenuto conto che già oggi è soggetto a un forte logoramento, almeno esplicitando le sue intenzioni diventa una bandiera per tutto il suo campo e si gioca personalmente la partita, sarebbe la sua valutazione della situazione secondo Monica Bergamo, editorialista della Folha de São Paulo.
Il rimpasto tuttavia non è stato sufficiente, e nei giorni immediatamente successivi i partiti alleati hanno fatto mancare il quorum al Senato, dove erano in programma i voti su alcuni veti presidenziali in delicate materie di bilancio.
Intanto il TSE (Tribunal Superior Eleitoral) ha riaperto un’inchiesta (in precedenza archiviata per mancanza di elementi) sui conti della campagna del ticket Dilma-Temer (il suo vice), anche qui se emergono irregolarità la conseguenza potrebbe essere la cassazione del mandato (e se cadono entrambi la presidenza – almeno interinamente – spetta al presidente della camera, l’indagato Eduardo Cunha cui si faceva riferimento in apertura).
Il coinvolgimento di Cunha nelle indagini aggiunge una nota di imprevedibilità e incertezza a una situazione già confusa; personaggio molto spregiudicato, qualora si vedesse spacciato potrebbe diventare una scheggia impazzita e puntare al tanto peggio tanto meglio, con effetti di grave destabilizzazione per il giovane sistema democratico brasiliano, che pure finora ha dato prova di grande stabilità.
Insomma per chi segue la politica brasiliana, così come per gli appassionati di House of Cards, i prossimi mesi promettono numerosi colpi di scena, benché si tratti di emozioni di cui i cittadini del paese verde oro farebbero volentieri a meno.