I Romani chiamavano ‘Arabia Felix’ la regione che grosso modo corrisponde all’attuale Yemen. ‘Arabia Deserta’ era invece il nome per quello che oggi è soprattutto territorio dell’Arabia Saudita. Roma non poteva immaginare che, soprattutto grazie ai proventi del petrolio, la parte ‘deserta’ della penisola sarebbe diventata quella più ricca e potente.
Le circostanze in Medio Oriente sono pero’ in rapida evoluzione. La Russia è intervenuta in Siria e in Iraq, la Turchia è di nuovo in mano a Erdoğan, e l’Iran è stato ri-abilitato in seguito all’ ‘accordo sul nucleare’. La sicurezza e la politica regionali, tuttavia, non possono prescindere dall’Arabia Saudita. Non solo la famiglia Al-Saud e’ ‘Custode delle Due Sante Moschee’ e presiede sulle seconde più grandi riserve mondiali di petrolio; a partire dal 2014 (IISS, 2015), l’Arabia Saudita è al terzo posto nel mondo per spese militari, con un’ impressionante cifra di 80,8 miliardi $. Nel frattempo la Gran Bretagna, che il 23 gennaio aveva deciso di lasciare la Union Jack a mezz’asta a causa del decesso di re Abdullah, ha da poco ritirato un programma di formazione di 6 miliardi £ per la polizia Saudita. Cosa sta accadendo nel Regno, da sempre cosi’ misterioso?
Re Salman, 79 anni, membro della potente fazione conservatrice dei ‘Sudairi’, potrebbe essere l’ultimo sovrano della prima generazione, quella dei figli del fondatore, Ibn Saud. Tale generazione ha trasformato il paese in una superpotenza petrolifera, ma troppi problemi, nazionali ed internazionali, non sono stati risolti. Può l’Occidente ancora permettersi di avere un alleato che non riconosce nessuna costituzione, a parte il Sacro Corano, non consente alle donne di guidare, e ha un parlamento nominato dal re e con poteri puramente consultivi? Il defunto re, Abdullah, aveva infatti promulgato alcune riforme significative, ad esempio migliorando le opportunità di istruzione e l’occupazione femminile: ci sono ora in Arabia donne insegnanti, avvocato, medico, in diplomazia. E’ troppo poco e troppo tardi? Probabilmente si’.
Salman ha promosso il proprio figlio, Mohammed, nominandolo vice ‘erede al trono’ e ministro della difesa. Mohammed ha appena 30 anni ed e’ in costante dialogo con la Russia su molte questioni, dalla Siria ai prezzi del petrolio. C’è speranza che incarni una mentalità più aperta e nuova, ma sarà possibile? O la seconda generazione, ora rappresentata dal principe Mohammed bin Nayef, alla fine prevarrà in una temporanea restaurazione? Voci di complotti e colpi di palazzo sono in giro da qualche tempo e re Salman, che sembra anche essere malato, potrebbe non concludere quest’anno sul trono.
Qualunque cosa accada, la casa di Saud non ha pieno controllo sul paese. L’Arabia Saudita sta cambiando, anche se lentamente. Nel 2014, 150.000 studenti (tra cui ragazze e donne) hanno studiato in università straniere. Nuove imprese stanno facendosi strada; la borsa (Tadawul) è già la più grande nella regione del Golfo e dal mese di giugno è aperta agli investitori stranieri; Jeddah è una città sempre più cosmopolita con 4 milioni di abitanti, di cui la metà sono non arabi; miliardari come Mohammed Al-Jaber hanno spesso chiesto una maggiore libertà dei media; la parte orientale del paese, ricca di petrolio e casa di molti sciiti, si e’ spesso ribellata. Molte cose stanno fermentando nel sottosuolo di un paese che è principalmente tenuto insieme dai proventi del petrolio (ora in declino a causa dei prezzi in caduta) e dal wahhabismo, una forma rigorosa dell’Islam sunnita che promouve punizioni severe anche attraverso una temuta polizia religiosa. Gli Al-Saud e il clero wahhabita hanno governato insieme dal 1744; è forse giunto il momento di ri-definire la loro relazione?
I governi occidentali hanno preso atto delle restrizioni saudite alla libertà religiosa e delle frequenti violazioni dei diritti umani; eppure non hanno adottato misure per indurre cambiamenti. Mentre ne’ gli Stati Uniti né l’Unione europea hanno diritto di entrare in questioni religiose, entrambi sono stati troppo timidi nel criticare l’atteggiamento di Riyadh su diritti e la democrazia, in stridente contrasto con i loro attacchi vocali su Russia, Cina e Iran.
Russia e Iran supportano il siriano Assad e cio’ ha complicato ulteriormente le relazioni tra Arabia Saudita e il resto del mondo. Tuttavia, la Russia ha tenuto una porta aperta al dialogo; lo testimoniano i recenti colloqui (23 ottobre) a Vienna tra I ministri degli esteri Lavrov, Kerry, Al Jubeir e Sinirlioğlu (Turchia). Mosca intende mantenere un ruolo per Assad, che ha recentemente visitato la Russia e così dato un forte segno di energia e forza. Elezioni, secondo Putin, decideranno il futuro della Siria. L’Arabia Saudita, al contrario, è irremovibile nel respingere qualsiasi ruolo per Assad. Tuttavia, ci chiediamo quanto può durare questa intransigenza; dopotutto, Russia e Arabia Saudita condividono un forte interesse in piu’ alti prezzi del petrolio; mentre la Russia è attualmente in acque peggiori, l’Arabia Saudita ha già un deficit di bilancio di 20%/PIL, che in pochi anni potrebbe diventare insostenibile. La guerra in Yemen infatti si sta rivelando un enorme drenaggio di risorse ed energie, e ha anche dato luogo a gravi violazioni dei diritti.
Riyadh è ora di fronte ad una scelta. La casa di Saud dovrebbe cooperare con la Russia contro ISIS, accettare una soluzione negoziata alla guerra in Siria e varare riforme a casa; altrimenti rischia di perdere credibilità all’estero e proporre qualche cambiamento puramente cosmetico e a breve termine a casa. Quest’ultima strategia è senza speranza; avrebbe funzionato solo in tempi molto brevi. Qualsiasi vera e duratura ‘primavera araba’ forse deve iniziare proprio dal paese dove la civiltà araba nacque circa quattordici secoli fa.
Una versione inglese dell’articolo e’ stata pubblicata sul RIAC:
http://russiancouncil.ru/en/blogs/ernesto-gallo-giovanni-biava/?id_4=2166