From Paris with blogParigi: la festa (mobile) è finita?

Ernest Hemingway è l'eroe del giorno dopo. Il simbolo di una città - e quindi di una nazione - che cerca di rialzarsi dopo i terribili attentati di venerdì scorso che l'hanno messa in ginocchio. Se...

Ernest Hemingway è l’eroe del giorno dopo. Il simbolo di una città – e quindi di una nazione – che cerca di rialzarsi dopo i terribili attentati di venerdì scorso che l’hanno messa in ginocchio. Se dopo l’attacco a Charlie Hebdo era stato il turno del “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire, negli ultimi giorni è “Festa mobile”, opera incompiuta e pubblicata postuma nel 1964 – tre anni dopo il suicidio dello scrittore americano – a sbancare in libreria. Stando ai dati forniti dall’agenzia AFP, di questi tempi se ne vendono più di 500 copie al giorno e i librai non smettono di richiederne nuovi esemplari ai distributori; ieri, su Amazon, il libro era addirittura in rottura di stock.

Parigi ne valeva sempre la pena e qualsiasi dono tu le portassi ne ricevevi qualcosa in cambio.


Ernest Hemingway

Eh sì, Hemingway ne era convinto. Il suo libro autobiografico è un omaggio alla ville lumière, un affresco romantico e tormentato della Parigi degli anni ’20, quando la capitale francese divenne la terra promessa degli artisti di tutto il mondo, anche e soprattutto statunitensi. “Così era la Parigi della nostra gioventù, quando eravamo molto poveri e molto felici”, scriveva l’autore americano raccontando le strade e i locali – poi diventati mitici – della città, gli incontri con le personalità che frequentavano il quartiere di Montparnasse – da Francis Scott Fitzgerald alla collezionista Gertrude Stein, da Ezra Pound a James Joyce, – i suoi amori possibili e impossibili. E’ più che lecito che la cosiddetta “génération Bataclan”, così motivata a tornare nei bar e a divertirsi, a non darla vinta agli estremisti “castratori”, adotti l’opera di Hemingway come un nuovo inno all’edonismo perduto.

Eppure, la notizia di una tale riscoperta è tanto curiosa quanto preoccupante. Da troppo tempo, infatti, la capitale francese sembra destinata a ripiegarsi sui fasti del passato per ricordare a tutti il suo valore simbolico. Ci è voluto Woody Allen, per esempio, a porre una tregua al cosiddetto “French bashing” della stampa anglosassone, impegnata con tutti i mezzi nella distruzione dei più celebri cliché d’Oltralpe – anche se adesso sono tutti lì a cantare la Marsigliese. Peccato che il film del regista americano non sia altro che un piccolo gioiello di nostalgia. Un omaggio a tutto ciò che non c’è più. Stiamo freschi a sederci sugli scalini della chiesa di Saint-Etienne-du-Mont – come fanno in effetti tanti turisti – in attesa che lo stesso Hemingway e Fitzgerald vengano a prenderci per farci riscoprire le follie notturne e tutti gli altri protagonisti della vita culturale e mondana parigina degli anni ’20. E invece niente. A noi restano solo le cartoline, le boutique prese d’assalto dai turisti giapponesi, i palazzi svenduti agli sceicchi, i quartieri sventrati dalle tensioni comunitarie e le banlieue, fabbriche inesauribili di odio, di vendetta e di paura dell’avvenire.

Anche Danielle, una deliziosa signora di 77 anni, ha parlato di “Festa mobile” alla televisione. Le immagini del suo volto e il suo discorso pieno di dignità e di orgoglio hanno fatto il giro del web. E’ un caso che sia proprio lei, un avvocato in pensione di 77 anni – lo ripeto – a spingerci a rialzarci e andare avanti? Ma soprattutto: che lo faccia consigliandoci di guardare indietro, agli anni che furono e che da tempo non sono più?

E’ possibile che non abbiamo più nient’altro da dire? Niente di meglio in cui sperare?

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