La City dei TartariRitrovarsi (contro l’innovazione a parole)

‘Con tutto l’armamentario dell’innovazione e della tecnologia e lo sviluppo del concetto di tecnologia artificiale e virtuale, dobbiamo stare attenti alla nozione di contrazione temporale, che ci p...

Con tutto l’armamentario dell’innovazione e della tecnologia e lo sviluppo del concetto di tecnologia artificiale e virtuale, dobbiamo stare attenti alla nozione di contrazione temporale, che ci puo’ portare alla revisione della nozione tripartita di durata (passato, presente e futuro). Questo solleva la questione ancora piu’ seria della politica come arte del possibile. L’immediatezza previene l’elaborazione di un progetto NEL TEMPO, fuori da pressioni temporali e problematiche dell’immediato. L’illusione di onnipotenza e il feeling che la realta possa piegarsi alle nostre tecnologie, contribuisce alla Perdita del senso del Possibile, che e’ la Fondazione della Politica come Arte’

Paul Virilio – Administration of Fear (2015, Semiotexte)

La scomparsa del tempo e’ uno dei piu’ grandi rischi del nostro futuro. Il tempo che genera, che fa maturare e che rende ogni progetto qualcosa di realizzabile. La finanza, con le transazioni finanziarie ad alta frequenza, dove, in pochi istanti, si possono creare e distruggere fortune, o, in alcuni casi, modificare le sorti di societa’ importanti, nazioni, ne e’ un esempio didascalico. Ma basta pensare a come la nostra aspettativa di rimanere informati sia passata dai giornali cartacei appesi agli angoli di strada (parlo del 1980, non del 1780) a quella di avere banda larga, larghissima, colossale in ogni attimo ed ovunque.

Il tempo sta diventando l’istante. E noi ne stiamo pagando le conseguenze, come modo di ragionare e pensare. Virilio, il famoso filosofo architetto francese, ne parla da anni, di questa tirannia dell’istante che poi permette una tirannia altrettanto feroce della paura e dell’orrore. Lo vediamo questi giorni in ogni istante. Le immagini di dolore e di devastazione, di corpi lacerati, orfani, volti di vittime e palazzi distrutti, fino nel cuore dell’Europa pacificata e pacifista del dopoguerra, ne sono giornaliera evidenza. La magnitudine delle crisi finanziarie e la disseminazione stessa di alcuni fenomeni, come il terrorismo di varie matrici, e’ aumentata, dato che e’ collegata a questa capacita’ della tecnologia di innervare e di collegare, di rendere la comunicazione agile, istantanea ed incontrollabile. L’istante sussunto dal tempo funziona come una forma di fracking dell’anima del mondo, genera ansia, aspettativa, inquietudine.

Viviamo fra il terrore della morte e quello del tempo che, nonostante quell che ci fanno credere, non bastera’ mai a renderci tutti milionari, in forma e capi di qualche forma di istituzione. In queste settimane in cui tutti sembrano radunarsi per parlare di digitale, innovazione, rivoluzioni tecnologiche, dove sembra che una risposta a questa affanosa ricerca di visibilita’ e di coscienza critica sul mondo passi dall’innovazione, dal fare accelerare ancora di piu’ questo processo di cambiamento, di ottimizzazione, di innovazione telematica, mi permetto di introdurre dei concetti dissuasivi, o, forse, di provocazione a pensare ad alcuni altri fattori, altrettanto importanti. L’innovazione non salvera’ il mondo, ne sono convinto. Non lo salveranno le smart cities, gli smartphones, ogni cosa sia smart and fast o High Definition. L’accelerazione del tempo di reazione, di produzione, la sterilizzazione mediatica da ogni contrasto, la paura del dissenso come creatore di ritardo e di spreco, sono tutte caratteristiche di quello che Benjamin Noys, un altro critico della modernita’ esasperante, definisce ‘Accelerazionismo’. Gia’ ci siamo passati in Italia, con il futurismo, che alla fine ci ha regalato il fascismo o lo strutturalismo russo su cui si e’ improntanto il potere dei soviet. Oggi, viviamo in una fase simile, in cui ad ogni azione non corrisponde una riflessione, ma una reazione moltiplicata per dieci. Ognuno ne e’ colpevole, perche’ l’innovazione ci obbliga e ci costringe ad agire velocemente, piuttosto che intelligentemente. Tanto, l’etichetta Smart e’ gia’ nella definizione dell’oggetto o della tecnologia. Non dobbiamo essere smart, ma semplicemente rappresentare velocemente quello che un algoritmo, basato sulla media dei big data inclusi da qualche programmatore (in maniera spesso arbitraria), ci impone di fare. La tecnologia, proprio perche’ basata su fattori che non si possono controllare, su espedienti non modificabili se non da elite di tecnofili, su scatole nere e codici alfanumerici, sta creando un divario culturale che l’alfabetizzazione imposta (benche’benvoluta) aveva ridotto ai minimi storici. Oggi non basta saper parlare l’inglese, ma si deve parlare qualche forma di linguaggio macchina. E questo processo di neo alfabetizzazione rischia di non essere cosi’ democratico come vorrei/vorremmo. Perche’, se l’alfabetizzazione alla fine riempiva le case di libri e ogni tanto le piazza di persone, questa sua forma digitale impone un necessario controllo, dato che, se un libro non poteva stampare una pistola o gestire un processo chimico o nucleare, la lingua delle macchine puo’ farlo.

Ecco, allora, oggi, che senso ha discutere di innovazione, di tecnologie, di processi produttivi, di media e di editoria, di scuola, in un mondo dove, alla fine, tutto viene deciso in base ai tempi di reazione del software?

Cosa ci spinge a discutere di sviluppo della tecnica, la paura di non essere all’altezza, di voler spiegare come siamo bravi/smart, al passo con i tempi od il desiderio di cambiare la societa’, nel piccolo o grande che possiamo?

Perche’, se il nostro intento fosse il primo, good luck, potete fermarvi a leggere qui questa missiva. Non apparteniamo alla stessa parrocchia di umanita’, quella sua manifestazione che Virilio spiega sempre in Administration of Fear: quando Kennedy e Kruscev ebbero da gestire la crisi dei missili a Cuba, quello che salvo’ il pianeta fu il fatto che avevano un’idea umana della politica, del regno della possibilita’ e non quello della reazione meccanica. Non agirono sulla base di un rapporto spedito fra azione e reazione, ma si resero conto dei fattori in gioco, della necessita’ di gestire nel tempo e non contro il tempo una situazione di conflittualita’. E cosi’ dovrebbe muoversi il mondo, anche quello dell’impresa, dell’educazione. La societa’. Imparare l’umanita’ ed i suoi ritmi.

Lawrence Boisson de Chasourne lo diceva bene: ‘L’emergenza non produce leggi perche’ le leggi derivano dal normale processo politico’. E questo me lo ripeto ogni giorno, come un mantra. L’emergenza non e’ mai una buona consigliera. Come non lo e’ la foga, lo spasmo di voler essere al passo con i tempi, in ogni momento. Recentemente ho scoperto che il Parlamento inglese trascrive ancora una volta le sue leggi ufficiali su pelle di capra, sul famoso vellum, una specie di carta animale. Perche’ cosi’ facendo i documenti vengono conservati il piu’ a lungo possibile. Una soluzione low-fi e per niente tecnologica alla necessita’ assoluta di darci una regolamentazione, delle norme, per il bene della societa’. Immaginate il processo per il quale ancora oggi, a secoli e secoli dalla Magna Charta, ancora qualcuno trascrive questi documenti come un amanuense. Costa 15000 sterline all’anno. Come una macchina blu.

Se, invece che aver paura di mantenere un posto al mondo, frag li hedge thinkers, volessimo cambiare la societa’, il passo necessario e’ oltre l’innovazione, ben oltre la dittatura della bellezza superficiale, anche perche’ rimane comunque inadeguato questo ancorarsi ad un’idea di bellezza standard, imposta quasi, soprattutto in un mondo dove e’ stata distribuita in maniera ineguale quasi quanto la ricchezza. Il cambiamento non passa dal culto del dirigismo e del consenso come fattore di scelta della classe dirigente, a discapito di originalita’, talento e competenza. Esiste una necessita’ ancora viva di sintesi di una moralita’ nuova, intelligentemente connessa ai tempi lunghi, dilatati, delle politiche di sostenibilita’ di ogni tipo. E questo non passa dalla furia.

Quinid, cosa occorre fare?

  1. Abbandonare la velocita’ come parametro – Ritrovate il tempo biologico delle decisioni, dei cambiamenti. Spesso ci comportiamo con le tecnologie e con le innovazioni come uno che guida una Panda e, ad un tratto, la macchina, come i Transformers, diventa una Ferrari, e poi di nuovo una 500 e poi una Maserati, ma, mentre siete sul rettilineo, diventa una bicicletta. Magari da corsa, ma sempre una bici. Ecco, riducete l’innovazione tecnologica per aumentare il fattore umano, la tempistica dell’uomo, delle sue opere. Ritrovate non la lentezza, ma il ritmo, il ritmo serrato o veloce, ma mai inumano, quello che atterrisce Virilio, della dittatura delle macchine;
  2. Reintrodurre il concetto di ‘Fabbrica del Duomo’ – Ogni cattedrale gotica che si rispetti ha una regola d’oro, non e’ mai stata terminata. A Firenze, Milano, Chartres, le grandi chiese del tredicesimo secolo continuano ad essere costruire, gestite giornalmente. Perche’ esistono evidenze e strutture necessarie ma tutto il resto, dagli orpelli alle colonne, puo’ essere cambiato, alterato, nel tempo. Eterno. Sul Duomo di Milano da qualche parte svetta l’immagine di Primo Carnera, il grande pugile. Un omaggio a questo grande atleta. Aggiunto nel ventesimo secolo. Le vostre iniziative, sviluppatele come se, dopo la prima fase di creazione e di strutturazione, tutto potesse cambiare lentamente, nel tempo, a seconda non delle mode ma delle esigenze. Cambiando nel tempo, perche’ l’immagine di Primo Carnera voleva dire ai Milanesi qualcosa di piu’ di quella di qualche santo martire dell’anno Mille;
  3. Giustezza contro Bellezza – Abbandonate l’idea di Very Bello, ma pensate in termini di Very Fair. Di quello che e’ giusto, moralmente. Quella moralita’ che discende non dai testi religiosi, ma da quello che e’ giusto per gli altri perche’, in qualche maniera, non offende, non discrimina e non viola gli altri. La Giustezza cambia il mondo, ancora di piu’ della Giustizia, perche’ impone un atto personale, diretto, della persona. Provare ad essere giusti, fino al dolore salomonico delle scelte difficili. E non la giustizia che diventa giustizialismo o invidia, gelosia. La Bellezza sfiorisce, la Giustezza si rinforza, perche’ diventa etica della persona, dell’impresa, del territorio. Un tempo si chiamava distribuzione della ricchezza, delle risorse.
  4. Pianificate la delusione – Io dubito spesso degli entusiasti, perche’ non hanno mantenuto dentro quel meccanismo importante della misura. Come non amo i pessimisti a prescindere. Ma, dopo venti anni di finanza e passa, in ambienti difficili e politicamente intensi, ho capito che la dottrina del tutto facile o del tutto impossibile sono parte della stessa ossessione con la faciloneria, con l’approssimazione in entrambi I lati dell’esito finale. Pianificate la fatica, la delusione, lo sconforto e l’ignoranza vostra ed altrui e cercate di capire come fare a migliorare quello che state facendo non come servizio a qualche padrone, ma come maniera per migliorare qualcosa. Ma siate pronti a fallire. Ogni giorno. Il tentativo e non la perfezione sono la parte piu’ bella della natura umana.

Credo che oggi la piu’ grande innovazione al mondo sia mettere da parte un attimo la fregola dell’innovazione apparente, approssimata e grossolana, e dedicarsi a riagguantare l’umanita’ dei processi, dei bisogni, tornare a raccontare il mondo nella sua lentezza secolare, pensare al lungo periodo, come se ogni giorno dovessimo pagare un mutuo con gli altri ed il pianeta e non immaginarsi vincitori di una lotteria ogni settimana. E’ questa la grande finzione della modernita’. Assimilare la normalita’ alla mediocrita’ e la presunzione al genio. Allora, in questa giornata sull’innovazione, ascoltate il cuore di chi vi parla: se vi dice di guidare una Panda che diventa una Ferrari a meta’ strada, ignoratelo, ma interessatevi se vi mostra un panorama non da osservare e basta, ma da raggiungere e modificare, dopo aver attraversato valli, combattuto battaglie, magari perderne tante nella misura dettata dal tempo e non dal software o dalla tendenza.

Ed alla fine di questo viaggio, sarete voi quelli smart. Non la citta’ dove abiterete, il telefono che userete, voi, lo sarete. Perche’ avrete non deciso il limite, ma il rischio che comporta raggiungerlo. E la fatica. Magari, non avrete innovato, o creato una start up, non sarete makers, ma sarete diversi, piu’ appassionati a quella parte di umano e naturalmente utile che ci dovrebbe stimolare molto piu’ del consenso e delle conferenze autoreferenti. Il Possibile, lasciate che torni a guidarvi.

“Non sono luddista, ma ne ho abbastanza di osservare una rotellina che gira sullo schermo. Rivoglio quel tempo perduto!”

KJ Okker