Quando si scrive di terrorismo è difficile evitare pregiudizi, luoghi comuni o moralismi. Una parte dell’opinione pubblica mondiale continua a dare la colpa a religioni (l’Islam in particolare) o fantasticare su ‘conflitti di civiltà’, senza rendersi conto che, ad esempio, i cosiddetti ‘fondamentalisti islamici’ uccidono più musulmani che cristiani. Semmai, il terrorismo del XXI secolo sembra essere totalmente privo di idee, siano esse politiche, religiose o altro; nel tardo XX secolo, al contrario, le idee giocavano un ruolo, anche se spesso discutibile (si pensi alla RAF, alle Brigate Rosse, ai movimenti per l’indipendenza ecc.). Il nostro mondo altamente materialista è sfidato da una forma altamente materialista di terrorismo – brutale, mercenario e, non a caso, nichilista e suicida.
Parlare di ‘terrorismo’ come tale è generico. Ce ne sono diversi tipi e livelli di coinvolgimento in esso; per amor di chiarezza possiamo considerare tre diversi livelli: i governi, i leaders e i loro seguaci.
Si potrebbe pensare che i governi siano i principali nemici dei terroristi. In un certo senso, cio’ è vero, ma spesso i terroristi agiscono per conto di altri governi; o sono protetti, supportati, persino ‘creati’ da essi. Possono fungere da ‘quinte colonne’ o ‘proxy’; oppure possono essere utilizzati come capri espiatori, in giochi politici spesso complessi. Altre volte i governi semplicemente chiudono un occhio. Il caso di Erdoğan è stato esposto da Russia e Iran; ma sarebbe ingenuo supporre che la cooperazione con l’ISIS sul petrolio sia stata limitata al clan familiare del presidente turco. Dopo tutto, chi ha comprato quel petrolio? Società occidentali, per caso? Anche senza andare lontano da Siria e Iraq, possiamo trovare altri donatori ‘insospettabili’. Secondo Wikileaks, Hillary Clinton (che non è certamente il critico più schietto delle monarchie del Golfo) una volta disse: ‘Donors in Saudi Arabia constitute the most significant source of funding to Sunni terrorist groups worldwide.’ Sempre Hillary, ‘More needs to be done since Saudi Arabia remains a critical financial support base for al-Qaeda, the Taliban, LeT [Lashkar e Taiba] and other terrorist groups.’ (si veda http://www.theguardian.com/world/2010/dec/05/wikileaks-cables-saudi-terrorist-funding). E’ ora ampiamente riconosciuto il fatto che l’Arabia Saudita, con il supporto dell’intelligence pakistana, ha aiutato l’ascesa di gruppi fondamentalisti in Afghanistan negli anni Ottanta. Cio’ accadde nel contesto della guerra fredda. Ma che tipo di guerra sta avendo luogo in questo momento? È uno scontro tra Sauditi e Iran per la supremazia in Medio Oriente, in cui l’ISIS sarebbe una proxy Sunnita contro Iran, Iraq e Assad? Qual è il ruolo di altre monarchie del Golfo, come Emirati, Qatar, Kuwait, ecc., che hanno massicci investimenti nelle capitali occidentali e quindi godono di un forte potere di ricatto? Patrick Cockburn, in un libro del 2014 sull’ ISIS (si veda http://www.versobooks.com/books/1830-the-rise-of-islamic-state), va ben oltre: «il 9/11 Commission report ha identificato l’Arabia Saudita come la principale fonte di finanziamento di al-Qaeda ma nessuna azione è stata intrapresa sulla base di esso» (p. 101, tradotto da chi scrive). L’ISIS, ci viene detto, inizio’ come AQI, vale a dire, al-Qaeda in Iraq. Oggi è il momento di tagliare i finanziamenti a chiunque abbia aiutato l’ascesa dell’ISIS, e per qualsiasi motivo; ed e’ il momento di capire chi ne siano i veri leaders.
I leaders sono solitamente ‘imprenditori politici’. Agiscono razionalmente, come uomini d’affari, capi della criminalità organizzata o dei servizi di intelligence. Si pensi a come essi utilizzano e manipolano i media, formano opinioni, premiano i seguaci, e cambiano schieramento secondo opportunita’. ‘Signori del terrore’ come al-Zarqawi o il ceceno, Dokka Umarov, hanno avuto un passato criminale. I leader dei Mujahideen afghani includevano, fra gli altri, signori della guerra, combattenti mercenari e contrabbandieri. Ciò che colpisce è come ‘i signori del terrore’ siano razionali e pragmatici, lontani dal dogmatismo e dall’ ‘irrazionalita’ fondamentalista. La rivista dell’ISIS, Dabiq, ad esempio, sembra un pezzo di propaganda tragicamente elegante, ricco di colori, moderno e funzionale; una propaganda che mira principalmente ad attrarre giovani seguaci nella lotta in Iraq e Siria.
Chi sono allora i seguaci, i ‘soldati semplici’ delle organizzazioni terroristiche? Molto spesso hanno poco a che fare con religioni o grandi cause politiche. A volte sono piccoli criminali, altre disoccupati (La Provisional IRA reclutava nei quartieri poveri di Belfast); possono arrivare dai ranghi del teppismo negli stadi (come è successo in Serbia e Ucraina), così come tra gli arrabbiati e gli scontenti. Individuare un modello comune è difficile. Autori come Alan Kruger hanno dimostrato che i cosiddetti ‘terroristi’ sono di solito piu’ istruiti rispetto a cio’ che molti pensano (Vedi http://krueger.princeton.edu/pages/what-makes-terrorist-0); e in effetti questo era il caso delle Brigate Rosse, come pure di molti reclute di al-Qaida. Sappiamo poco dei quadri e combattenti ISIS. Forse la maggior parte di loro vengono dal Medio Oriente o altri paesi a maggioranza musulmana; tuttavia, sappiamo anche che migliaia (25.000, secondo un rapporto delle Nazioni Unite di Maggio 2015) provengono da un gran numero di paesi, tra cui quelli dell’Europa occidentale, e persino Finlandia e Cile. Una miriade di motivi puo’ avere spinto persone provenienti da tutto il mondo a unirsi all’ISIS. Puo’ essere il risentimento dei musulmani nelle banlieues europee, la rabbia di milioni di mediorientali contro governanti corrotti (che di solito stringono la mano a leader occidentali) o semplicemente la possibilità di guadagnare di più rispetto a ciò che noi chiameremmo ‘posti di lavoro’.
Una strategia di successo contro il terrorismo deve affrontare tutti e tre i livelli. Tagliare i legami con i governi che finanziano il terrorismo e far rispettare la legge ai leader sono una parte della soluzione. Le capitali occidentali, che hanno contribuito all’ascesa del terrorismo, ora sembrano incapaci di concordare una strategia contro di esso. La Russia ha preso l’iniziativa contro l’ISIS e svelato l’ipocrisia turca. Forse il vero vincitore sarà pero’ la Cina, che sta silenziosamente aprendo una base navale a Gibuti, molto vicino a zone cruciali (per terrorismo e per petrolio) come l’Arabia Saudita e il Sudan (Vedi http://www.nytimes.com/2015/11/27/world/asia/china-military-presence-djibouti-africa.html?_r=0).
L’Occidente, tuttavia, deve agire anche a livello ‘micro’: disoccupazione e disaffezione verso la politica cominciano in Europa e in America, dove le generazioni più giovani sono state lasciate senza visioni politiche e spesso senza lavori decorosamente pagati. C’è carenza di valori politici costruttivi, e forse non sorprende che molti fuggano verso una terribile avventura di distruzione e di autodistruzione. I governi occidentali dovrebbero riflettere e agire su questo punto.
Una versione inglese di questo articolo e’ apparsa su Open Democracy: https://www.opendemocracy.net/ernesto-gallo-giovanni-biava/terrorism-now-states-leaders-fighters