Le simulazioni e le previsioni non sono la realtà, è vero. Ma a mettere insieme i dati che arrivano in questi giorni sul nostro futuro prossimo — dai dati dell’Inps a quelli sul riscaldamento globale — c’è da faticare, e molto, per mantenere la calma.
Infatti, dopo averci dato nel corso degli ultimi 15 anni dei bamboccioni, dei viveur, dei fancazzisti, dei buoni a nulla, degli ingenui terzomondisti e chissà quante altre etichette del cazzo, dopo averci costruito un mondo del lavoro basato su rapporti occasionali non protetti, quella che ci stanno prospettando non è una giungla, è un inferno. Uno vero però.
I dati dell’INPS, che da ieri affollano le prime pagine dei quotidiani online e offline, sono dati pesanti. Se non cambia nulla, noi nati negli anni Ottanta andremo in pensione negli a 75 anni, con pensioni che varranno mediamente il 38 per cento in meno dei nostri stipendi, che se oggi sono da fame, tra 40 anni saranno da guerra civile. Questo per i più fortunati, quelli, cioè, che ora hanno un contratto di lavoro e i contributi pagati. E per gli altri?
Dopo averci costruito un mondo del lavoro basato su rapporti occasionali non protetti, quella che ci stanno prospettando non è una giungla, è un inferno
Per gli altri sarà ancora peggio. Ci sarà chi, dopo cinquant’anni di stipendi da fame per lavori precari senza contributi previdenziali né Tfr, avendo passato la vita a cercare di sopravvivere senza possibilità di investire in fondi previdenziali privati, dovrà campare con una pensione minima che, dice Boeri, potrebbe essere mediamente inferiore a quella di oggi — circa 500 euro — del 25 per cento.
Fa 375 euro, soldi che oggi sono niente, e che chissà quanto varranno nel 2050, anno in cui, per quanto ne sappiamo, potremmo scambiarci bitcoin.
Ma la dimensione della tragedia che ci si prospetta potrebbe anche essere più grande. Nel 2050 saremo gli ultimi rimasti in vita delle generazioni che hanno conosciuto il benessere. Gli ultimi ad aver avuto dei genitori che possedevano qualcosa. Svendendo le case dove negli anni Ottanta del Novecento abbiamo imparato a camminare e a leggere forse potremo pagarci il salvacondotto per non essere messi in treni piombati da dimenticare in fondo a un oceano. Forse. Perché da qui al 2050 mancano 35 anni. C’é tutto il tempo per vedere trasformarsi una generazione di bamboccioni in una generazione di miserabili, di incattiviti, una generazione a cui non servirà una religione per diventare terroristi. Basterà la rabbia.
Quando a un uomo togli ogni speranza e lo metti con le spalle al muro non puoi sapere come reagirà. Invece, quando al posto di un uomo togli la speranza a un’intera generazione, quando con le spalle al muro ci metti qualche milione di persone, allora forse lo puoi anche immaginare come andrà a finire.
Quando a un uomo togli ogni speranza e lo metti con le spalle al muro non puoi sapere come reagirà. Invece, quando al posto di un uomo togli la speranza a un’intera generazione, quando con le spalle al muro ci metti qualche milione di persone, allora forse lo puoi anche immaginare come andrà a finire. Quanto ci vorrà prima che i terroristi diventiamo noi?
Qualcuno un’idea ce l’aveva, già nel 2011. E me la raccontò mentre stavo lavorando a un documentario, a Lampedusa. Era una funzionaria italiana dell’Unhcr. Non ricordo il suo nome, ma ricordo abbastanza bene quello che, a microfoni spenti, mi raccontò.
Aveva saputo che erano in preparazione dei manuali ad uso dei funzionari delle Nazioni Unite, manuali che avrebbero contenuto le indicazioni da seguire nel caso di guerre civili sul territorio europeo. «Guerre civili cittadine», puntualizzò. Quello che — a quanto diceva lei — i funzionari dell’Onu si immaginavano nel 2011, era lo scoppio di guerre civili nelle principali città europee, che nei successivi 15 anni avrebbero visto le periferie trasformate in campi di battaglia, mentre nei centri, ipercontrollati e pattugliati dall’esercito, un piccolo gruppo di privilegiati, in zone bunkerizzate della città, avrebbe continuato a fare una vita di lusso, con un iPhone36 nella borsa di NeoDolce&Gabbana.
Sono trent’anni che ci ripetiamo senza sosta, Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Ora però stiamo iniziando a intravedere la nostra ombra che si avvicina sul selciato. E se dieci anni fa potevamo riderci su, ora che stiamo invecchiando anche noi non fa un bell’effetto.
Per la concessione dell’uso dell’immagine in alto,
realizzata da Tonus per la rivista Mataran, si ringrazia l’autore.