Qual è il confine tra rispettare una religione e temerla – o quantomeno cedere ai suoi ricatti morali? Difficile dirlo, soprattutto in Francia. Soprattutto in quest’ultimo anno.
Lo scorso 7 gennaio fu lo scrittore Michel Houellebecq ad aprire le danze. L’uscita del suo romanzo “Sottomissione”, più un’operazione di marketing che una dichiarazione di odio nei confronti dell’Islam – seppur coerente con il pensiero dell’autore, già fin troppo noto, – coincise tragicamente con la sparatoria nella sede del settimanale satirico Charlie Hebdo. Sarà stato un caso? Chi può dirlo. Fatto sta che il libro di Houellebecq è stato massacrato più o meno unanimemente dalla critica. Ali Baddou, il conduttore del programma di Canal+ Le Supplément, ha addirittura affermato in diretta che quel romanzo “gli aveva fatto venire la nausea” (volendo edulcorarne le parole esatte). Lo scrittore più stimato (e tra i più letti) di Francia è diventato improvvisamente un demonio perché ha osato sfiorare la religione musulmana. Così, onde evitare di essere accusato dai “benpensanti” dell’omicidio indiretto di 12 persone per aver pubblicato un romanzo, è scappato via da Parigi e ha sospeso la promozione del libro.
Meno male che su Charlie Hebdo sono stati tutti un po’ più clementi. Guai a chi tocca gli ex-sessantottini, in Francia. E’ satira. E la satira deve essere libera. Parte la solita carovana degli striscioni sulla libertà di espressione, i sit-in, le veglie a lume di candela, la solita place de la République gremita, i cori, eccetera eccetera, nonostante in molti abbiano pensato che quel giornale si fosse spinto un po’ troppo in là. Anche in questo caso, però, mentre tutti erano per le strade a rivendicare con orgoglio che “non avevano paura”, Luz, l’unico disegnatore di Charlie Hebdo sopravvissuto alla strage, un po’ di paura ce l’aveva e ha deciso di non pubblicare più nessuna vignetta che rappresentasse il Profeta.
Oggi, dopo gli attentati dello scorso 13 novembre, è il turno del filosofo Michel Onfray. La casa editrice Grasset ha annunciato ufficialmente che il suo libro sull’Islam, la cui uscita era prevista per gennaio, non sarà pubblicato in Francia – le varie traduzioni, invece, saranno regolarmente pubblicate all’estero. Il filosofo francese ha deciso, inoltre, di dire addio definitivamente alla sua esistenza sui social network.
In effetti è da qualche mese che Onfray non se la passa bene. Da icona della sinistra “popolare”, il filosofo normanno è stato accusato dalla stampa della “gauche caviar” di favorire il discorso politico della destra estrema di Marine Le Pen. Per quale motivo? Semplice: aver osato criticare l’Islam. Cosa che in Francia significa immediatamente essere etichettati come “islamofobi”. Poi, paradossalmente, accade l’inverso. A causa di un tweet postato nella notte degli ultimi attentati a Parigi, in cui Onfray sosteneva in poche parole che “la Francia aveva raccolto ciò che aveva seminato a suon di bombe”, il filosofo è diventato il mito dell’ISIS. Allora, due sono le cose: o Michel Onfray è schizofrenico, oppure il suo pensiero viene costantemente saccheggiato e strumentalizzato ora dall’una, ora dall’altra fazione ideologica.
Il discorso, tuttavia, è più semplice di quanto si possa immaginare. Punto primo: Onfray è (semplicemente) ateo. Ciò significa che cerca di smontare tutte le religioni, nessuna esclusa. Il suo “Trattato di ateologia” parla chiaro in proposito: non viene criticato solo l’Islam, ma anche il cristianesimo e la fede ebraica. Ergo: lui è stato coerente. Chi lo attacca, no.
Secondo: Onfray, come si addice ad ogni buon uomo di “sinistra”, è contro la guerra.
Conclusione: nonostante gli sforzi dei politici guerrafondai, tutti pronti a sostenere che – per via della sua gloriosa storia – la Francia non può e non deve rinunciare a combattere la barbarie, la verità è una sola, e cioè che un pacifista ateo, oggi, in quella stessa Francia, la patria dei lumi e della laicità, è un individuo scomodo e pericoloso da costringere all’autocensura. Liberté sì, insomma, ma non troppo.