Prima di partire occorre definire cosa è il FOIA (Freedo Of Information Act) in poche parole: uno strumento che consenta di avere accesso alle informazioni raccolte dallo Stato. Informazioni raccolte in nome dei cittadini e con risorse dei cittadini, come ricordano i promotori di Foia4Italy. Dunque il FOIA stabilisce soprattutto l’accesso agli atti della Pubblica Amministrazione: i cittadini hanno diritto a chiedere ogni tipo di informazione prodotta e posseduta dalle amministrazioni che non contrastino con la sicurezza nazionale o la privacy.
Un diritto universale che permette una piena partecipazione democratica. Insomma, conoscere per deliberare. Sembra scontato, soprattutto se si pensa che un istituto del genere è stato applicato per la prima volta nel lontano 1800 in Svezia. A istituzionalizzarlo fu poi il presidente degli Stati Uniti d’America Lyndon Johnson nel 1966.
Le promesse sono state tante in questi mesi, ma all’atto pratico il decreto sulla trasparenza uscito dal Consiglio dei ministri è un pugno di mosche, e prima del 28 febbraio, data dell’approvazione definitiva occorrerà cambiare marcia. Il rischio è quello di avere una legge più confusionaria di quella attuale e che favorirà ancora di più le opacità della Pubblica Amministrazione.
Cosa c’è oggi per la trasparenza
Oggi per accedere alle informazioni della Pubblica Amministrazione esiste l’istituto dell’accesso civico istituito dal governo Monti (decreto 33/2013) e le e le prerogative della legge 241/90. Non ci vuole molto per comprendere che una legge di sedici anni fa non possa soddisfare le attuali esigenze di trasparenza anche alla luce del progresso tecnologico. Poco, come avevamo già avuto modo di vedere qui su Linkiesta dopo gli annunci in tema di Matteo Renzi.
Cosa manca nel decreto
Lo spiega bene in una intervista a La Stampa Ernesto Belisario, avvocato e tra i principali promotori dell’iniziativa con il progetto Foia4Italy. «La nuova tipologia di accesso – spiega Belisario – non sostituisce quella già prevista dalla legge (n. 241/1990): quindi anziché semplificare il quadro normativo lo complica sia per le pubbliche amministrazioni che per i cittadini, perchè così ci sarebbero due norme anzichè una. E sono previste troppe eccezioni, dal momento che le pubbliche amministrazioni mantengono la discrezionalità e possono negare l’accesso. Possono rigettare le istanze facendo semplicemente trascorrere trenta giorni dalla richiesta, di fatto evitando di motivare le ragioni per cui negano l’accesso. Non solo: non prevede che l’accesso ai documenti informatici sia sempre gratuito; non indica i “costi sostenuti” che potranno essere richiesti al richiedente (per esempio, per riproduzione e spedizione); non prevede che quando un’informazione sia stata oggetto di un certo numero di richieste di accesso, l’amministrazione sia tenuta a pubblicare l’informazione nella sezione “amministrazione trasparente”; con il cosiddetto procedimento silenzio-rifiuto la pubblica amministrazione può rifiutare l’accesso senza motivare la decisione e il cittadino è costretto a fare ricorso al Tar, quindi rimedi giudiziari non sono affatto veloci e poco onerosi. Infine, non sono previste adeguate sanzioni in caso di accesso illegittimamente negato».
Insomma, con la sovrapposizione delle normative, la mancanza di un sistema sanzionatorio e la possibilità di rifiutare una istanza senza motivare il diniego più che un Foia sembra un grande (omissis).