Ringraziamo Davide Serafin, che torna su ‘Giovine Europa Now’ con un’interessantissima inchiesta!
*Davide Serafin http://yespolitical.com, www.possibile.com
Ridurre il dibattito sulle opere pubbliche ad una sorta di competizione fra passatisti e futuristi non è solo semplificatorio, è fuorviante. L’opinione pubblica non vede la realtà dei luoghi ed è coinvolta solo per il tramite di simboli. L’Italia che va veloce versus la palude, l’eterno ritorno dell’immutabile. L’immobilità è impopolare mentre il cambiamento è auspicato come un Messia.
Il Terzo Valico, in origine, doveva essere solo un treno veloce. Tutti sarebbero d’accordo se il Terzo Valico fosse solo una questione di treni veloci ed efficienti. Chi non lo sarebbe. Ma il Terzo Valico è fatto invece di ruspe, ruspe che tagliano la collina, che modificano i profili: ruspe che intubano i torrenti.
Questa non è una Grande Opera. È un’opera che le devastazioni dovute al dissesto idrogeologico – che ancor di recente hanno colpito l’area appenninica fra le province di Genova ed Alessandria – suggerirebbero di evitare.
Loro malgrado, le ruspe del Cociv (il General Contractor composto da Salini-Impregilo, Società Italiana Condotte d’Acqua, CIV) non sono al riparo dall’occhio del satellite e il loro operato è casualmente immortalato nelle immagini di Google Maps. Siamo in prossimità della cosiddetta Finestra della Castagnola, nel comune di Fraconalto (AL), ove si sta scavando quella parte di tunnel di servizio attraverso il quale verranno estratti i milioni di metri cubi di roccia. Quella terra nera che viene dispersa sopra un tubo metallico un po’ posticcio, non è cemento, né asfalto: è – tecnicamente – lo smarino, il sottoprodotto dell’attività di scavo del tunnel di valico, a progetto lungo ben 27 chilometri e soltanto all’inizio della sua escavazione.
Intubare un torrente in prossimità di alcune case. Tagliare la collina per allargare strade (che per ora non servono a nessuno). Stoccare milioni di metri cubi di roccia e materiali di risulta in una vecchia cava abbandonata.
Cominciamo così il nostro racconto.
È il primo cantiere del versante piemontese. È stato aperto a metà degli anni novanta, quando i mezzi del Cociv ottengono l’autorizzazione per eseguire un foro di sondaggio, il foro pilota, ai fini dello studio della geologia del terreno. Ma le opere sono eseguite in difformità rispetto al piano lavori: anziché un sondaggio del terreno viene scavata un’intera galleria.
I responsabili del progetto e la committenza – fra di essi Ercole Incalza, allora amministratore delegato di TAV Spa – vengono accusati di truffa. Il procedimento si chiude soltanto nel 2006, dieci anni dopo i fatti. Il Gup decide per il non luogo a procedere “per intervenuta prescrizione”: è la tagliola della ex Cirielli a risolvere tutti i problemi.
La finestra della Castagnola è uno dei due fori del versante piemontese dai quali dovrà transitare lo smarino. Dal mero punto di vista logistico, la posizione del cantiere è alquanto complessa: inerpicato lungo un fianco della montagna, il cantiere non è raggiungibile dai mezzi pesanti se non rivedendo pesantemente la viabilità. La strada provinciale 163, che da Voltaggio porta al passo della Castagnola, nel comune di Fraconalto, si piega in curve a gomito dentro ad una gola. Là, sul fianco sinistro della montagna, vi è il foro pilota.
Gli allargamenti della provinciale hanno richiesto lo scavo delle scarpate, l’inserimento di muri di cemento laddove prima era la roccia della montagna. Lo smarino è presente dappertutto: come riempitivo dei muri di contenimento, come supporto della piattaforma ricavata a scapito del torrente.
Possiamo dire che il legislatore italiano ha sempre avuto un cattivo rapporto con le terre e rocce da scavo. Inserite nel catalogo europeo dei rifiuti (CER) sin dal 1975, già con il Decreto Ronchi (1997) si ritenevano escluse dalla normativa sui rifiuti e solo la minaccia di una procedura d’infrazione ha suggerito al governo italiano di rivedere la posizione in materia. Nel 2001 ritorna tale esclusione, con il decreto Lunardi (443/2001) e questa volta la procedura d’infrazione viene aperta per davvero, con l’effetto della censura della norma da parte della Commissione Europea. Le successive trattazioni nel Testo Unico Ambientale (D. Lgs. 152/2006), in armonia con la Direttiva 2008/98/CE, permettono di evolvere verso la nozione di sottoprodotto, la cui gestione è stata normata solo recentemente con il decreto 161/2012.
Perciò le terre e rocce da scavo possono essere escluse dal ciclo dei rifiuti e divengono materiale da impiegarsi per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati. La normativa ammette la presenza all’interno delle terre e rocce di scavo di materiali da riporto e di elementi antropici (originati cioè dall’attività umana di escavazione, ovvero additivi, calcestruzzo, bentonite, vetroresina, PVC, miscele cementizie) sempreché “la composizione media dell’intera massa non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi” previsti dal Testo Unico Ambientale. Non è definita una quantità massima ammissibile di tali materiali, il controllo è eseguito solo sulla presenza di inquinanti, quali ad esempio i metalli pesanti. Su 11 milioni di metri cubi di terra e roccia escavata – tale è il volume di terra che risulterà estratto ai fine lavori – a quanto ammonta la quota parte dei materiali contaminati e degli elementi di origine antropica che verranno dispersi nell’ambiente? Nessuno è in grado di dirlo, né evidentemente di controllarlo.
Va da sé che il Piano di Utilizzo dei materiali di scavo è stato redatto tenendo in considerazione l’insieme delle opere compensative che dal 2003 le amministrazioni locali hanno richiesto a Cociv, al fine di mitigare l’impatto sul territorio. Con la delibera del Cipe del 2006 erano già stati preventivati gli interventi sulla viabilità pubblica, specie sulle strade provinciali. L’equazione è semplice ed immediata: tante opere compensative, tante occasioni per reimpiegare il sottoprodotto smarino nei reinterri.
Lasciando la finestra della Castagnola e procedendo verso il comune di Fraconalto si incontrano i cantieri sulla provinciale 163, sino all’incrocio verso Voltaggio, verso la provinciale 160. I reinterri e i riporti di materiale di scavo si sprecano: lo spazio fra ogni muro di sostegno e il fianco eroso della collina è stato riempito con lo smarino. Le due strade sono l’unico collegamento fra la finestra estrattiva della Castagnola e quella della Vallemme.
Alla loro confluenza il progetto esecutivo prevede la realizzazione di una rotonda. A tal scopo, vengono espropriati con un decreto, il n. 02 del 2014 (pubblicato sul Bollettino della Regione Piemonte n. 15 del 10/04/2014), alcune porzioni di terreni che, fra i voltaggini, sono noti come il Prato della Tenda, un vero e proprio simbolo per il paese, essendo uno dei pochi luoghi di svago per i bambini.
I terreni, di proprietà della Progetto Casa srl, con sede ad Arquata Scrivia, vengono interessati dalla modifica del Piano Regolatore che il Consiglio Comunale di Voltaggio, anche in previsione dell’intervento Cociv, approva nel 2011. I voltaggini non ci stanno e in 170 firmano una lettera-petizione al sindaco e alla giunta comunale affinché sia variata la destinazione urbanistica dell’area, da residenziale ad agricola, e sia quindi mantenuta l’area verde per i bambini del paese.
L’osservazione è oggetto di dibattito in consiglio comunale nel marzo 2011 ed è respinta con la seguente motivazione: “l’area (il prato) è classificata come area residenziale da molti anni e nell’attuale variante è soltanto stata aumentata di superficie e traslata un po’ più a monte soprattutto in considerazione dell’inserimento della viabilità (costruzione di una rotonda fra le due provinciali) prevista dal progetto relativo alla costruzione della linea di alta capacità approvata dal Cipe”[1].
L’esproprio è deciso solo nel 2014 ma il Cociv paga quei terreni, circa 5000 metri quadrati, la bellezza di 558 mila euro: più di 110 euro a metro quadrato. La cifra è congrua ai valori di mercato, come previsto dalla Legge 244/2007. Tuttavia, la variante del piano regolatore è effettuata quando già si sapeva che l’area sarebbe stata destinata alla realizzazione della rotonda: il comune decide per ‘traslare’ l’area residenziale un po’ più a monte, in considerazione dell’inserimento della nuova viabilità. Il gestore del piano regolatore è lo stesso soggetto che chiede l’opera compensativa, la quale costituisce giustificazione per la trasformazione della destinazione d’uso dei terreni. Questa strana partita di giro produce due esternalità negative: l’aumento del costo dell’opera compensativa; l’ulteriore consumo di suolo. Mentre ai singoli cittadini (e per i terreni non edificabili) è riservata la miseria di 0,50 euro a metro quadrato, per la Progetto Casa srl è stato un 2014 indimenticabile. Tanto che ora nemmeno ha più sede ad Arquata Scrivia.
[1]http://www.comune.voltaggio.al.it/download/Consiglio%202011/C%20n%2010_2011.pdf
Dalla strada provinciale 160 si arriva infine alla finestra Vallemme, la seconda galleria di servizio. Il luogo del cantiere di scavo è stato scelto anche in conseguenza della presenza del sito della ex cava della Cementir, azienda produttrice di cemento e calcestruzzi con uno stabilimento ad Arquata Scrivia. Il fronte della cava è una parete rocciosa malmessa, sagomata a gradoni: sul fondo, in prossimità del greto del torrente Lemme, verranno stoccati 1,5 milioni di metri cubi di terre e roccia da scavo, parte dei 6,8 milioni di metri cubi che non troveranno reimpiego nelle opere correlate al Terzo Valico. L’operazione, che ufficialmente è considerata come bonifica del sito ex cava, presenta le criticità maggiori, specie per il precario equilibrio idrogeologico dell’area.
Nel documento di progetto relativo alla messa in sicurezza del sito ex cava, infatti, viene specificato che la parete della collina è soggetta a fenomeni di toppling, termine tecnico che sta a significare che l’area è a rischio di movimento franoso e di distacco di porzioni rocciose. Ma la messa in sicurezza non consiste nella prevenzione della frana, bensì nell’apposizione di una barriera di rinforzo sul cumulo di smarino che, a galleria conclusa, sarà una montagna alta una trentina di metri.
Si è reso inoltre necessario prevedere la formazione di una vasca di accumulo, una cavità artificiale ricavata fra la parete naturale e lo smarino riportato. La sua profondità è di circa 20 metri e la sua capacità di accumulo è di almeno 110 mila metri cubi, dovendo essere in grado di contenere le volumetria della frana planare in roccia e della zona caratterizzata dai distacchi dei massi.
Dall’altro lato, il deposito di smarino è minacciato dall’erosione riportata dal torrente Lemme, specie nei periodi di piena. La scelta di collocare qui le terre e le rocce di scavo non oggetto di reimpiego, ha innescato una serie di pericoli. La Giunta della Regione Piemonte, nella delibera di approvazione (dicembre 2013) del Piano di Reperimento dei materiali litoidi presentato dal Cociv, indicava alcune criticità legate al mancato rispetto dei fattori di sicurezza per la stabilità dei pendii e riportava le osservazioni dell’ente Parco Capanne di Marcarolo (l’ex cava rientra in un’area identificata come Sito di Interesse Comunitario) circa la mancanza di un’analisi degli habitat forestali e umidi presenti. Nel maggio 2014, la Regione nuovamente delibera sull’aggiornamento del Piano lamentando che gli elaborati proposti “non sempre raggiungono il livello di dettaglio proprio di una progettazione a livello esecutivo”. Dal testo si evince che Cociv non ha applicato le prescrizioni richieste con la delibera del Dicembre 2013, mentre il deposito dello smarino era già in essere da almeno tre mesi.
Il greto del torrente oggi si presenta fortemente compromesso. L’habitat fluviale impiegherà anni per ricostituirsi. La sponda sinistra è stata arretrata di circa sei metri e protetta con una scogliera realizzata da massi di cava. In seguito a questo intervento, Cociv ha chiesto ed ottenuto dalla Regione (D.D. 19 settembre 2014, n. 2571) di poter estrarre circa 3000 metri cubi di materiali in eccesso dal letto del torrente. Il fondo naturale del Lemme non è più quello di prima.
Cancellare la Legge Obiettivo è il primo passo per fermare quest’uso indiscriminato del territorio. Un nuovo treno veloce può essere realizzato anche senza barare sulla gestione dello smarino, degli espropri o delle presunte bonifiche ambientali. Quando Annalisa Corrado (Green Italia – Possibile) dice che le “Grandi Opere sono criminogene”, non parla solo di corruzione e appalti. Il crimine è contro il nostro stesso futuro. L’ambiente in cui viviamo ha più volte parlato, ha detto la sua con alluvioni e frane. Ma continuiamo a non capire, a non ascoltare questo linguaggio sconosciuto eppur così eloquente.