Il caucus (una consultazione interna tra i sostenitori di un partito) dei democratici dell’Iowa ha dato un risultato a sorpresa: il sostanziale pareggio tra la candidata in pectore Hillary Clinton e l’underdog Bernie Sanders, che ha recuperato oltre 40 punti dagli ultimi sondaggi. 49.9 per l’ex First Lady e segretario di stato; 49.6 per il Senatore che non ha paura di dirsi «socialista» in un paese come gli Stati Uniti d’America. Già nel 2008 la situazione era stata ribaltata grazie alla consultazione di questo piccolo stato (3 milioni di abitanti) noto nel mondo per il caucus e per gli Slipknot: Hillary Clinton, potentissima candidata in vantaggio in tutti i sondaggi, perdendo la consultazione, lanciava la volata all’allora outsider del partito. Un certo Barack Obama.
Le elezioni primarie servono per affrontare alcuni nodi ‘politici’, per confrontarsi tra diverse visioni e diverse idee, per affrontare problemi complessi all’interno di una stessa cornice di pensiero, per ribaltare alcuni schemi consolidati e far capire – anche dentro i discorsi routinari – che esistono alternative e altri modi per affrontare le situazioni. Non sono un regolamento di conti per definire assetti interni e posizionamenti autoreferenziali. Si tratta di politica – ovvero costruzione di un’agenda tematica e di un orizzonte verso cui tendere tutta l’azione di miglioramento della società – non di gestione del potere. Ed è per questo che i copioni, anche quando sembrano già chiusi e depositati, possono essere riscritti. Anche radicalmente. Magari non succede sempre – e magari anche questa volta, dopo il grande risultato in Iowa, non succederà niente – però quando succede, si ha la consapevolezza di aver fatto qualcosa di importante.
In Italia, invece, le elezioni primarie sono vissute con fastidio, come male non-necessario, un disturbo per il manovratore. Sia che si tratti di una consultazione ‘di partito’ (il congresso del Partito Democratico), sia che si tratti di una una carica elettiva (per un candidato sindaco) .
Nel 2009, ad esempio, era ovvio che il segretario del Pd sarebbe stato Pierluigi Bersani. Nel 2013, invece, era altrettanto scontato che le primarie sarebbero state vinte da Matteo Renzi. In Italia, quando parliamo di politica, sembra sempre che tiri un vento più forte che da altre parti. Un vento che non può essere fermato con le mani. Alle primarie per il candidato sindaco di Torino del 2011, per esempio, nessun outsider riuscì a impensierire la posizione di Piero Fassino. Nelle prossime primarie milanesi del 6-7 Febbraio sembra assolutamente scontata la vittoria dell’ex AD di Expo Beppe Sala.
In Italia non abbiamo la cultura dell’underdog: è una figura prettamente ‘americana’. Non siamo abituati a parlare di riscatto sociale, di opportunità, di pensiero radicale e proposte alternative. In politica non abbiamo il coraggio di andare oltre le chiacchiere da bar (per cui sono «tutti uguali») né di votare secondo coscienza, ascoltare i temi, le proposte, le cose. Seguiamo sempre un copione che forse non ci piace fino in fondo, ma che non abbiamo la forza di rinnovare. Disillusione? Mancanza di affetto? Tendenza all’obbedienza servile, alla fedeltà a lealtà variabile? La solita, irrisolta, questione della borghesia italiana incapace di costruire una visione laica del mondo piegandosi, invece, a logiche più simili al vassallaggio?
Se Bernie Sanders, senza grossi endorsement da parte dei media (il New York Times ha appoggiato Hillary Clinton), senza grossi finanziamenti (i soldi arrivano principalmente da sindacati e donazioni volontarie) ma con una rete di supporter anche molto giovani, affascinati dalle sue idee radicali e dalla sua visione ‘inedita’ degli Stati Uniti, riesce a impensierire una macchina potentissima e efficientissima come quella della famiglia Clinton, allora come mai in Italia nessuno riesce mai a convincere anche chi – culturalmente, antropologicamente, socialmente – potrebbe assecondare la domanda di cambiamento? Come mai le primarie non vengono mai usate come occasione per fare qualcosa di nuovo ma le usiamo sempre e solo per confermare, anche in senso buono, lo status quo? Anno dopo anno, rischia di essere sempre più un elenco di occasioni perse.