In quale Paese al mondo i giuslavoristi e gli economisti del lavoro vengono ammazzati o devono viaggiare sotto scorta? Suvvia, lo sanno tutti, stiamo parlando del Belpaese.
Visto che la memoria è l’arma dei deboli contro i forti, cogliamo l’occasione per ricordare Marco Biagi, professore di diritto del lavoro, ammazzato dalle cosiddette Nuove Brigate Rosse il 19 marzo di 14 anni fa.
Martedì 19 marzo 2002 Biagi tenne una lezione a Modena, e come sempre, se n’era tornato in treno a Bologna, poi con la bici fino a casa. Qui, mentre apriva il portone, s’era sentito chiamare alle spalle, neanche il tempo di voltarsi e si trovò colpito a morte da sei colpi di pistola.
L’arma usata è una calibro 9, la stessa usata il 20 Maggio 1999 per l’omicidio di Massimo D’Antona.
La vedova di Biagi, Marina Orlandi, tempo fa ha ricordato che il marito voleva proteggere i giovani precari: “Proprio nei giorni prima di essere ucciso, ricordo che Marco mi parlava di una cosa che riguardava i ragazzi. Era consapevole che la società si stava trasformando e che avere un lavoro per tutta la vita, lo stesso a tempo indeterminato, sarebbe stata una cosa praticamente impossibile, sarebbe arrivata tardi nella vita delle persone. Aveva in mente che bisognava difendere i lavori brevi. Purtroppo, ci sarà questa precarietà, diceva Marco, pero’ dobbiamo renderla una precarietà protetta, fare in modo che le persone che hanno un lavoro protetto abbiano anche dei diritti, siano protette, che una persona non trovi un lavoro in nero”.
Dobbiamo a Biagi il Libro bianco sul mercato del lavoro. Collaboratore del Sole 24 Ore, quella mattina, in prima pagina, comparve il suo ultimo articolo, dal titolo “Chi frena le riforme è contro l’Europa“.
Dopo l’omicidio scoppiarono giustamente le polemiche per la mancata scorta. Se nel luglio 2000 i responsabili della sicurezza gli assegnarono un servizio di tutela, nel settembre 2001 quell servizio fu abbandonato per “cessate esigenze”. Va detto che il Ministro del Lavoro di allora Roberto Maroni chiese più volte al Viminale di ripristinare la protezione a Biagi. Il ministro dell’Interno Scajola si dimise successivamente a seguito dell’indignazione popolare seguita alla tremenda dichiarazione riportata dal cronista del Corriere della Sera: “Marco Biagi era un rompicoglioni”. Lo stesso Scajola che comprava immobili al Colosseo a “sua insaputa”.
L’ex ministro del Lavoro Tiziano Treu, con cui Biagi collaborò, ebbe a dire: “Marco Biagi cercava di razionalizzare il capitalismo e non glielo hanno perdonato“.
Dopo l’omicidio di Ezio Tarantelli, la gambizzazione di Gino Giugni, l’assassinio di Massimo D’Antona e di Marco Biagi. Povera Italia. Speriamo di non vederne più di questi atti di barbarie contro il pensiero libero