Ho intervistato il Partito pirata italiano. Sì, posso scrivere così perché le persone che mi hanno risposto lo hanno fatto d’accordo colettivamente. Un’intervista che nasce per un articolo che verrà pubblicato su Linkiesta ma che ho trovato abbastanza interessante da riportare quasi integralmente sul mio blog.
– Si è parlato poco di voi pirati italiani in questi ultimi anni, quali principali battaglie avete portato avanti e quali priorità avete per il prossimo futuro?
Il Partito Pirata a livello internazionale è una delle più interessanti novità politiche, se non altro per il “background culturale” da cui nasce: si tratta di quel mondo che si ritrova attorno alla filosofia del software libero, della cultura libera, della condivisione della conoscenza. Sul piano più propriamente politico, il PP ha come principali obiettivi la maggiore partecipazione democratica dei cittadini nei processi decisionali -ottenuta (anche) attraverso l’utilizzo della Rete- e la trasparenza amministrativa. In Italia effettivamente del Partito Pirata si è parlato poco, probabilmente perché -almeno sugli ultimi due punti- il M5S ha un po’ “egemonizzato” la scena, tra l’altro promettendo di creare un soggetto politico in cui “ognuno vale uno” e presentandosi come l’unico soggetto politico che utilizza la Rete per decidere. E in ciò ha fatto -e sta facendo- danni gravi, perché ormai una parte dell’opinione pubblica, quando sente parlare di utilizzo della Rete in politica, associa questo concetto al M5S e ai suoi “plebisciti online”.
Nell’immediato, l’impegno principale è nella campagna Stop Ttip, di cui i media parlano pochissimo, e che prefigura un modello di società in cui spadroneggiano le grandi imprese transnazionali a scapito degli Stati e delle persone.
Abbiamo di recente deciso di aderire al Coordinamento della Democrazia Costituzionale, dato che il progetto riformista di Renzi&Co ci pare vada nella direzione diametralmente opposta a quella che auspichiamo noi: lo schema è quello di un premierato forte, in buona sintesi di un uomo solo al comando. Noi siamo per allargare le forme di partecipazione democratica, perché crediamo nel principio dell’intelligenza collettiva.
Le priorità nel prossimo futuro sono due: farci conoscere e – nel far ciò – provare a creare un modo realmente nuovo di far politica, dove realmente “ognuno vale uno”. Senza leader, Guru e relativi “cerchi magici”. Da noi anche l’ultimo degli iscritti può avanzare una proposta (cosa che in effetti spesso accade): se piace, attraverso un iter preciso gestito tramite Liquid Feedback, essa viene discussa, emendata e votata, e se approvata diviene vincolante per il partito stesso.
– Nel programma come primo punto si parla di welfare e reddito di esistenza anziché di internet, una scelta voluta?
Internet è l’infrastruttura fondamentale della nostra era. Da internet trarremo sempre più le informazioni sulla base delle quali decideremo -tra le altre cose- anche per chi votare. (…) Tuttavia nessuno di noi vive su Marte, e dal 2008 le istituzioni europee (spinte dal FMI) continuano a ripetere che dalla crisi si esce solo tagliando pesantemente il welfare (come se l’origine di tutti mali fosse quello, anziché la grande speculazione finanziaria). Così come i vari governi esultano quando si creano “posti di lavoro” in più (in alcuni paesi anche nell’ordine di qualche centinaia di migliaia), ritenendo evidentemente dettagli il salario e la precarietà. Lo ha spiegato il vostro stesso giornale, analizzando la situazione in Spagna; dietro alle grida di giubilo per la crescita del PIL e dei posti di lavoro ci sono -soprattutto per i giovani- stipendi da fame e precarietà a vita. (…) Nel mondo esistono varie forme di sostegno al reddito: di esistenza, di cittadinanza, di inclusione sociale, di dignità etc. Il dibattito è vivo: quello che è certo è che i Paesi che decideranno di non adottare nessuna misura di questo tipo lasceranno che sia il caso a determinare le possibilità di vita decente delle persone (…).
Non c’è da stupirsi, quindi, se i Partiti al governo crollano nel consenso, e se molti giovani non trovano altra soluzione che l’espatrio. Se è vero che l’epoca del lavoro che-dura-tutta-la-vita è ormai un ricordo del passato, è anche vero che il welfare deve adeguarsi.
– Come state affrontando la discussione se vengano prima i diritti digitali o le questioni prioritarie per la società nel suo complesso?
Il dibattito è vivo anche in sede internazionale; di recente sul Pirate Times i pirati spagnoli hanno scritto un pezzo in cui rinfacciano a Rick Falkvinge (il fondatore del Partito pirata svedese, ndr) di “vivere in una bolla” (la Svezia), e di non rendersi conto che un Partito che voglia incidere sulla società non può limitarsi ai temi digitali. Per quanto ci riguarda, abbiamo provato a spiegare che le due cose non debbono essere necessariamente viste come antitetiche.
Il copyright e i brevetti sono due tra gli strumenti che i ricchi e i potenti usano per conservare la propria posizione di dominio e per mantenere gli altri in una condizione di inferiorità. E non solo – è questo il punto fondamentale – in ambito informatico: si pensi al tema della brevettazione dei semi e della conseguente lotta degli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo per riappropiarsi della libertà ( http://www.seedfreedom.eu). Oppure si pensi agli editori scientifici, che si servono del copyright per intascare miliardi col lavoro dei ricercatori, obbligandoli a pagare decine di dollari per ogni articolo di cui hanno bisogno (la vicenza di Aaron Swartz è emblematica); anche in questo i più svantaggiati sono coloro che vivono in quei Paesi in cui 25 dollari possono rappresentare una cifra importante.
D’altro canto il software e l’hardware libero, nonché i progetti di libera circolazione della conoscenza, stanno facendo moltissimo per i Paesi in via di sviluppo. Grazie alla stampa 3D, oggi c’è chi può permettersi protesi ortopediche inarrivabili fino a pochi anni fa ( http://www.openbiomedical.org/ ); la creazione di una “Pirate Bay della scienza” permette ai ricercatori di tutto il mondo di lavorare e contribuire allo sviluppo sostenibile senza dover pagare il pizzo a Elsevier; Wikipedia e progetti analoghi stanno portando la cultura libera in posti non abbastanza appetibili per le logiche di mercato. Parlare di copyleft oggi significa parlare di FabLab, di artigianato digitale, e in ultima analisi anche di modelli di business alternativi. In Italia abbiamo l’esempio forse più noto: Arduino. Al netto delle vicende legali sul marchio, Arduino è la dimostrazione di come si possa fare impresa – e realizzare profitti – con l’Open Source.
Il peggior errore che si possa commettere è proprio pensare che i temi digitali siano una sorta di “lusso”, qualcosa che appartiene ad un universo virtuale e su cui impegnarsi solo dopo (e se) si è ottenuto altro.
– C’è stato apprezzamento da parte dei pirati per il manifesto di Diem25, il nuovo movimento europeista dell’ex ministro greco Yanis Varoufakis. In cosa i pirati convergono tra analisi e proposte con Diem25?
L’Europa deve cambiare profondamente, e da questo punto di vista la proposta di Varoufakis è piaciuta a molti pirati, sia in Italia sia all’estero. Prima di tutto perché lui stesso ha citato Falkvinge e i suoi “sciami” tra gli esempi virtuosi da seguire per un nuovo modo di fare politica (i gruppi di volontari di DiEM25 si chiameranno Spontaneous Collectives).
Ma soprattutto per i contenuti, a cominciare da tre concetti chiave: democrazia, partecipazione e trasparenza. Ad oggi le decisioni più importanti vengono prese da istituzioni non democraticamente elette (BCE, FMI, che per inciso non è neanche un’istituzione propriamente “europea”), e in generale il ramo esecutivo (Commissione) ha più poteri del legislativo (Parlamento); nel già citato programma comune per le europee, uno dei primi punti del PP era proprio quello di riequilibrare questa situazione, coinvolgendo maggiormente i cittadini europei nella vita democratica. Si pensi solo al già citato TTIP, un trattato discusso dagli organi esecutivi di USA ed Europa che il Parlamento Europeo non potrà nemmeno emendare. E si pensi, soprattutto, al fatto che di esso non sapremmo nulla, se non fosse per le pressioni esercitate dalla società civile, che tramite l’Ombudsman europeo ha “costretto” la Commissione a desecretare alcuni documenti. (…) Ma sopratutto, il pregio pincipale di DiEM25 è proprio il fatto di essere un movimento paneuropeo. (…) L’Europa Unita la dovranno (o meglio: la devono) fare le “generazioni Erasmus”, quelle per cui spostarsi da Milano a Madrid è come spostarsi da Roma a Napoli. A queste persone non si può proporre un ritorno al passato, a un’Europa con decine di valute nazionali ed altrettante barriere doganali. I temi fondamentali di oggi (l’economia, l’ambiente, le migrazioni) si possono affrontare solo a livello internazionale.
Varoufakis ha capito che il primo “bug da fixare” in Europa è colmare il deficit democratico.
– Secondo voi quali sono le principali ragioni per cui un partito pirata non sfonda in Italia? Possiamo dare tutta la responsabilità ai Cinquestelle che vi hanno tolto visibilità?
Senz’altro la presenza del M5S è un fattore importante, ma non certo l’unico. In primis, c’è da dire che i “temi digitali” in Italia sono ancor meno sentiti che altrove, visto il ritardo italico sull’alfabetizzazione informatica. Poi naturalmente c’è anche la scarsa presenza sui media tradizionali (ma non è detto sia necessariamente un male), e – dulcis in fundo – il fatto che la politica italiana sembra ormai non poter fare a meno dei Leader, e dunque un movimento come il nostro, che ha deciso di non averne, può risultare incomprensibile.
Però, detto tutto ciò, ci sono anche elementi che possono far ben sperare. In Italia c’è un “mondo” che gravita attorno al software libero, alla cultura libera, al movimento Maker, ma più in generale a tutti quei fenomeni che cercano di costruire una società alternativa, basata sulla collaborazione piuttosto che sulla competizione. E’ un pezzo di società che attualmente non si sente rappresentato da nessun partito tra quelli principali – M5S incluso – e a cui stiamo cercando umilmente di avvicinarci, anche solo come singoli individui, prima ancora che come “esponenti di un partito” (parola che ormai suscita inevitabilmente scetticismo, se non proprio disgusto aperto).
Il web è uno strumento integrativo, non sostitutivo delle riunioni di persona. Portare avanti un partito senza vedersi di persona non credo sarebbe tecnicamente possibile (né tantomeno auspicabile).
– Liquid feedback è il software di discussione web e di democrazia diretta. Permette di accumulare deleghe da parte di un iscritto per votare anche a nome di altri. Non c’è il rischio che qualcuno possa sfruttare questo sistema per controllare dopo qualche anno il partito? Non pensate sia il caso di limitare le deleghe per numero e per tempo?
A voler esser pignoli, Liquid Feedback è una piattaforma decisionale di democrazia liquida (da cui il nome). La democrazia diretta si differenzia da quella liquida proprio per il fatto che in quest’ultima l’utente può scegliere se esercitare direttamente il proprio voto o, invece, delegare qualcun altro. Le deleghe però hanno regole ben precise: in primis, vengono date di volta in volta sulle mozioni specifiche: l’utente X non può delegare Y su tutto (se vuole farlo deve delegarlo ogni volta che viene aperta una mozione). In questo modo si evita che un utente accumuli le deleghe di “utenti-zombie”: le deleghe valide (cioè quelle che fanno sì che il voto di una persona valga più di uno) riguardano solo gli utenti attivi, ossia quelli che eseguono il login su Liquid Feedback almeno una volta ogni 30 giorni. Inoltre, possono essere ritirate in qualunque momento. Ciò che si osserva in pratica è che gli utenti delegano quando si rendono conto che altre persone sono più competenti di loro su temi specifici.
– Il 17 aprile ci sarà il referendum abrogativo per chiudere progressivamente l’estrazione di idrocarburi nei mari italiani, qualche mese dopo il referendum costituzionale confermativo: che posizioni ha il Partito pirata?
Sul referendum del 17 aprile non c’è una posizione unitaria. Alcuni sono per il sì, altri per il no. Nessuno ha dubbi sull’importanza dell’ecologia, ma c’è la consapevolezza che si tratta più che altro di un referendum politico e “ideologico”.
I sostenitori del “no” fanno notare che se diminuiamo la produzione qui essa verrà aumentata altrove, in aree ancor meno controllabili e con pratiche potenzialmente ancor più inquinanti. I sostenitori del “sì” invece adducono ragioni di principio: contrarietà all’estrattivismo e all’utilizzo di fonti non rinnovabili, in quanto cause principali del cambiamento climatico.