di Francesco Carini
Io ho bisogno di vincere per avere sicurezza, Ranieri ha la mentalità di uno che non ha bisogno di vincere e a quasi settanta anni (ne aveva 56) ha vinto una Supercoppa e un’altra piccola Coppa. È troppo vecchio per cambiare mentalità
Correva l’agosto 2008 e José Mourinho si abbatteva come un uragano sul povero mister italiano, visto da tutti come un gran signore, uno di quei tecnici bravi, preparati, ma perdenti.
Sin dai tempi della Fiorentina, passando per la sua esperienza al Valencia, il buon Claudio mi è sempre invece apparso in primis una persona onesta, oltre che un grande professionista che viveva il calcio visceralmente. Lo cominciai ad ammirare da bambino quando dirigeva campioni come Rui Costa e Batistuta, fino ad arrivare a Frank Lampard e John Terry ai tempi di quel Chelsea, poi sconfitto dal Monaco in semifinale di Champions League.
Dopo l’esperienza al Parma, sentire la sua emozione nel sedere sulla panchina della Juventus nell’estate del 2007, mi fece subito pensare che il romano avrebbe fatto bene, sebbene la sincerità e la sua spontaneità forse non si addicessero ad un ambiente fatto di campioni smaliziati ed esperti, anche se affamati di vendetta dopo la retrocessione in serie B. Complice una dirigenza poco esperta, il tecnico romano non ebbe molta fortuna nonostante avesse fatto tremare il Chelsea agli ottavi di Champions ed avesse ottenuto un terzo ed un secondo posto con una squadra sicuramente non all’altezza di Inter, Milan o Roma. Alla notizia del suo esonero, non credevo ai miei occhi e guardai all’arrivo di Ferrara con più di un dubbio considerandone l’inesperienza.
Quando seppi del suo ingaggio da parte della Roma dopo l’esonero di Spalletti, sapevo che avrebbe fatto bene, in primis perché tornava nella sua città, e tutti sognano di poter trionfare a casa propria, in secundis, credevo e credo ancora nella brava gente, quella sincera, vera ed in questo caso, anche elegante.
Il gol di Riise al ’94 a Torino, in virtù di cui la Lupa abbatté La Zebra, mi diede un colpo al cuore, però, in fondo, provai quasi piacere per i dirigenti che gli avevano dato il benservito. Quell’uomo aveva probabilmente riposto fiducia nella società di corso Galileo Ferraris, salvo ricevere in cambio nel 2009 un rispettoso e discreto kick in the ass. Quell’uomo meritava rispetto e personalmente il rispetto viene prima di ogni cosa, in questo caso anche della mia Juve.
Le sostituzioni di De Rossi e Totti con Taddei e Menez, tenendo in campo Vucinic, risultato poi fondamentale con la sua doppietta, oltre che una scelta coraggiosa per restare in vetta, con un 2 a 1 che emulava quello ottenuto tre giornate prima proprio sull’Inter di Mourinho, furono un segnale concreto: il collettivo viene prima del singolo. Però purtroppo, il 25 aprile, quello che Riise diede a Torino a gennaio, Riise lo tolse contro la Sampdoria. Proprio nel giorno della Liberazione, la Roma di Ranieri sembrò imprigionata nuovamente nel complesso dell’eterna seconda. Peccato non solo per Totti e compagni, quanto soprattutto per il suo allenatore, che sfiorò il tanto agognato trionfo, salvo poi subire l’uno-due di Pazzini.
Dopo un’esperienza negativa all’Inter ed una positiva al Monaco, con una promozione in Ligue 1 ed un grande secondo posto, Tinkerman, come veniva soprannominato ai tempi dei Blues, sembrava incarnare il prototipo del gentleman relegato a sfiorare i trofei, salvo vederli poi alzare dai rivali. Solo il Leicester poteva dargli la chance di esprimere tutto sé stesso dopo i mesi passati come selezionatore della nazionale greca. Ed il 2 a 2 di ieri sera fra Chelsea e Tottenham gli ha ritornato quello che i campioni di Abramovich gli avevano preso nel marzo del 2009, con il medesimo risultato ottenuto rocambolescamente a Torino, ma stavolta con il gol del pari siglato da Hazard su assist di Diego Costa, che ha tanto ricordato il raddoppio di Del Piero su imbeccata di Gilardino contro la Germania ai Mondiali del 2006. Anche lì, l’azzurro delle maglie degli eroi in campo ricordavano quello de The Foxes.
Niente formalismi dovuti in una big, nessuna prima donna egocentrica, zero dirigenti da convincere su scelte oculate e razionali, solo un gruppo di ragazzi affamati di calcio che hanno visto in lui probabilmente un maestro di vita, piuttosto che un saccente professore di tattica o uno pseudo semidio sceso in terra. Il buon Claudio non ha avuto bisogno di recitare egocentricamente in conferenza stampa come altri suoi colleghi, ha scelto un’altra strada: l’empatia. Quegli occhi che sprizzano sincerità ed emozione hanno saputo parlare al cuore di: uomini veri ed ex colletti blu come Jamie Vardy, talenti del calibro di Mahrez o ragazzi con un cuore immenso come Kanté. Se dovessi pensare ad un titolo per questo miracolo, citerei il capolavoro di Elio Petri “La classe operaia va in paradiso”, ma con una differenza: Gian Maria Volontè lo sognò, Drinkwater e compagni lo hanno conquistato… E a darne le chiavi non c’è stato San Pietro, ma un signore italiano che ha compiuto un’impresa eccezionale con la virtù dei grandi: l’umiltà.
Dopo il pugile J.J. Bradock o il manager degli Oackland Athletics Billy Beane, lo sport ha un nuovo eroe: Claudio Ranieri
Come uno scalatore, tu devi sempre guardare in alto. Claudio Ranieri
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