Tre coppie, tre matrimoni, otto puntate, quattro settimane, tre divorzi: è questo, ed è un po’ così così, il bilancio della prima edizione italiana di ‘Matrimonio a prima vista’, dating show che sino ad ora (USA, Australia e, sur tout, casa mia) ha riscosso un certo successo.
Lo show funziona così: ci sono una sessuologa, un sociologo e uno psicologo che selezionano alcuni concorrenti (leggenda vuole si siano presentati in 700, ma non so…) e ne scelgono sei che per le loro caratteristiche psicologiche, morali, umane eccetera sembrano adatti all’esperimento.
In cosa consiste l’esperimento: nel partecipare a una trasmissione televisiva, metà dating show, metà reality, metà gioco delle coppie ( non è da tutti) e soprattutto sposare un perfetto sconosciuto, un tizio (o tizia) che conoscerai solo sull’altare e di cui non sai nulla se non che, secondo il pool di esperti, trattasi della tua anima gemella.
In pratica il percorso inverso di quello che si fa normalmente: prima ti conosci, poi ti innamori, poi ti sposi. Qui funziona al contrario: ti sposi, poi i conosci e poi ti innamori (forse, ma gli esperti sono sicuri).
Così ci si sposa. Ci si sposa per davvero, con tanto di fedi, testimoni, abito bianco, volo di colombe, e torta mutiltipiano. Ci si sposa.
Poi, esaurito un frugale viaggio di nozze (di un weekend), si va a convivere per quattro settimane: se va bene, bene, se no dopo un mese liberi tutti.
Le coppie in questione sono
Fabrizio e Annalisa: lui 40 enne con canappione, ma carino, con casa e lavoro solido; lei 26 enne, molto bella, non sa nemmeno- come è giusto che sia a 26 anni- da che parte è girata: vuole fare l’attrice, vuole studiare, vuole sfondare, ma fondamentalmente ha sonno e ciondola per casa in tuta.
Marco e Lara: i miei preferiti. Lei milanese, una vaghissima somiglianza a Susan Sarandon ( di cui per altro è ben consapevole), intelligente e simpatica, ma emotivamente in alto mare; lui, Marco, carino, spiritoso, proprio simpatico, forse un po’ semplice (mamma, pastasciutta, pallone e i film di Alberto Sordi alla televisione), ma di cuore e buona volontà. Anche carino, a dirla tutta.
Alessandra e Andrea: lei, commessa di un paesino in provincia di Brescia, molto semplice, molto carina, un po’ paesana, ma che male c’è? Lui romano della Roma bene e borghese, tipo ‘corso Francia’.
Di fatto non pervenuti, perché lui (al quale mi auguro gli autori abbiano imputato una penale lunga da qui alla fine del mondo) dopo meno di una settimana ha detto ‘no, grazie, non me la sento, troppo impegno, mi sento soffocare, arrivederci e grazie’. Lei ci è rimasta malissimo (anche troppo a onor del vero, visto che lo aveva appena conosciuto) e ha fatto le valigie. Pensa un po’ che fregatura.
Riflessioni a margine
- Nel 2016, le donne si vogliono ANCORA sposare.
Niente di male eh. Anzi. Il matrimonio è cosa buona e giusta, ci piace eh, pure molto. Anzi, ci piace così tanto che ci incazziamo se qualche legge ci impedisce di averlo uguale per tutti. Bene. Assodato ciò (che il matrimonio è una cosa figa e che niente di male) vorrei aggiungere una clausola: il matrimonio è cosa buona e giusta non in sé, ma in base a chi sposi: se sposi qualcuno che ti piace, allora bene, se sposi uno purché sia, allora male.
Quello che si capiva forte e chiaro, invece, è che le tre ragazze in questione si volevano sposare solo per sposarsi, per essere salvate (dalla solitudine, da se stesse, dalle infinite possibilità del mondo tra le quali è difficile scegliere), per poter presentare qualcuno dicendo ‘Lui è mio marito’, per potersi sentire meglio delle loro amiche zitelle, per potersi vedere belle negli occhi di un altro, non importa chi sia.
E questo è male. Comprensibile e umano. Ma male. - Finche penseranno così, le donne non andranno mai da nessuna parte. Mai. Altro che guadagnare meno degli uomini, altro che non avere posti apicali. Manco la mancia per aver lavato i piatti ci dovrebbero dare.
Perché?
Perché, santi numi, o ci si salva da soli o non ci salva affatto.
Non si può delegare la propria salvezza a un principe azzurro o a un orco verde. Non funziona così.
Ci si salva da soli: è Freud, baby. - Le donne non sono male, eh. Anzi. Sono capaci di spostare le montagne, se vogliono.
Però se possono, non vogliono e quindi non lo fanno. Delegano. E fanno male, perché se solo volessero potrebbero essere fiere e belle, coraggiose e libere, come la Pina di Roma Città Aperta (che, faccio presente era madre e compagna indomita, mica single indomita) e invece preferiscono essere quelle che delegano e vogliono essere salvate.
Male. - Gli uomini (nel caso specifico due su tre, sul terzo non ho niente da dire) non sono cattivi. Se ne dice tanto male (come categoria intendo), ma sono proprio delle brave persone: sono buoni, carini e, con tutto il cuore, ci provano. Ci provano a salvare queste due tizie. Sono pazienti, spiritosi, gentili. Ci si mettono di buzzo buono.
Ma non ce la possono fare. Perché (vedi punto 2) nessuno salva nessuno. O ti salvi da sola o io non ci posso fare niente. Non per cattiva volontà, ma proprio perché funziona così. - Se è chiaro che cosa vogliono le donne (essere salvate. L’ho già detto?) non è chiaro cosa siano disposte a dare in cambio ai loro salvatori.
Amore? Ah. - Riflettevo: sapete chi aveva la fissa del matrimonio? Le sorelle di Cenerentola.
Lei, quella che poi il principe se lo sposa davvero, no: lei voleva solo un paio di scarpe nuove.
E, per inciso, Cenerentola si salva da sola (con l’aiuto di una fata dagli occhi blu, due topi e una zucca matura).