La Regione Toscana, per promuovere il territorio, indice un progetto di “crowd storytelling”: 279 racconti di artisti, artigiani, professori eccetera che mettano in risalto un aspetto, una caratteristica, una “eccellenza” – come si usa dire – del territorio. Non sono toscano, ma probabilmente il mio storytelling della Toscana sarebbe stato cestinato.
Lo metto qui sotto (tratto da Facciamo che andiamo, 2014, Liberodiscrivere editore)
Dopo essere rientrato alla base può capitare che, ebbene sì, tettuvvai in Val d’Orcia per un week end lungo all’insegna della natura, dell’arte e della buona cucina. Lo fai in settembre. Per protrarre le vacanze ed avere la piacevole e ingannevole sensazione che non è finita. Oppure, più semplicemente, perché in estate piena c’è un caldo boia e vacci te a sbevazzare fitto Brunello e rosso di Montalcino e a fare il turista fighetto sotto un sole che morsica.
Comunque, parti il venerdì pomeriggio e stai tre giorni tra cascine e pievi. Noleggi le bici, giri per chiese e conventi, mangi salame e bruschette, degusti vini e grappe, visiti Pienza e Bagni Vignoni. Insomma fai del tuo meglio per non farti mancare nulla.
Naturalmente pernotti in agriturismo. E c’è l’imbarazzo della scelta, in Toscana. Gli agriturismo sono numerosi come le stelle del cielo, in Toscana. Perché in Toscana, se ti licenziano, chettifrega, apri un agriturismo con le galline, il verderame e l’olio fatto come si deve.
Fortunatamente hai una moglie che riesce a muoversi in questa overdose di offerte rustiche e, ottimizzando le info di tripadvisor, alla fine prenota da “Il Gelsomino”, in posizione geografica strategicamente centrale. Prezzo ragionevole, piscina, camere confortevoli, cucina casareccia.
Uscito dalla A1, guidi per una ventina di minuti a zig-zag tra le crete senesi e imbocchi un lungo viale orlato di cipressi che ti sputa in una specie di aia che fa molto raduno prodiano. Geranei dappertutto, muretti in pietra viva e sulla destra uno stagno con giunchi, rane e libellule. Ulivi argentati foderano le colline. Ridentissime. Pensi proprio che ti rilasserai, ma all’improvviso ti viene incontro un pieraccione abbronzato in camicia bianca.
– Benvenuti in paradiso – scandisce le sillabe mostrando una chiostra di denti durbans – viaggiato bene?
E ti assesta una robusta pacca sulla spalla da persona schietta: PAAM! – Sì, un po’ di traffico intorno a Firenze – rispondi a braccia conserte nelle posizione del pugile che incassa.
– Eh, cosa vuole? C’è sempre traffico lì – PAAM! E ride bonario.
– Prima di andare in camera venite con me – rilancia sornione grattandosi la barbazza – c’è un cocktail di benvenuto.
Sorrisetto ammiccante e… PAAM. Sotto un pergolato – vista piscina – è apparecchiato un tavolo con un’oleografica tovaglia a quadretti rossi. Un tizio – che a tutta prima pare il Vanni – taglia formaggi e salumi a quattro palmenti. Un vassoio in ceramica con verdure grigliate, scaglie di parmigiano come se piovesse, pane toscano senza sale e bottiglie di vino scuro completano il presepe alimentare. C’è un prosciutto disteso nella tagliola da affettaggio e Vanni fa passare il lungo ed esile coltello sulla sua superficie con lo studiato trasporto del suonatore di violino. Un gran bel violino di maialazzo. Da qualche parte una cassa manda musica lounge che risulta un po’ comica. Intorno al tavolo si assiepano vari ospiti de “Il Gelsomino”. Noti che un uomo di mezza età ha un braccio al collo.
– Un bicchiere di quello buono? – ti urla in faccia Pieraccioni e sta per partire con un’altra “sventola”, ma tu fai una torsione del busto che manco Cassius Clay e lo lasci schiaffeggiare l’aria frizzante del tramonto.
– Come avessi accettato!
Con la spalla mezzo lussata, scarichi i bagagli e vai in appartamento. Ogni camera non ha un numero, ma il nome di una pianta o di un fiore. A te e tua moglie tocca la “Ginestra”. Vorresti dire al pieraccione che la ginestra è anche un po’ “fiore del deserto”. Mentre fai girare la chiave nella toppa pensi alla sua camicia bianca, a te e a questo “secol superbo e sciocco”. Ma è solo un attimo. La sistemazione infatti è bellissima e anche Giacomo Leopardi l’avrebbe apprezzata: pavimento in cotto, rifiniture in cotto, divani e cuscini in cotto. Il bagno è bianco con uno specchio molto grande incastonato in una cornice molto particolare. In cotto. La vasca ha l’idromassaggio come tutti i vecchi casali di un tempo, quando il contadino tornava dai campi – diobonino, che stanchezza! – e sua moglie gli faceva trovare il bagno pronto con essenze orientali i sali antistress – echettuvoi, ir sandalo o la genziana?
Toc-toc.
– Chi è?
E’ la moglie della camicia bianca.
Apri.
– Tutto bene?
– Tutto perfetto.
E’ appena uscita fuori, quella moglie lì, dalla pubblicità della Zuppa del Casale con il suo gonnellone ampio e la camiciuola con colletto da contadino tolstoiano.
– E’ un posto incantevole – le fai – scommetto che ci sono ancora le lucciole da qualche parte là fuori.
– Può giurarci! – sentenzia seria lei.
Non osi contraddirla.
Le pareti sono piene di quadri di soggetto agreste-pastorale: scene di caccia, cani da riporto, monaci che zappano, Enea Silvio Piccolomini che discute di Pienza, città ideale, con il Vanni e il Pacciani davanti a pane e salame e a un buon bicchiere.
Le foto di famiglia dei gestori de “Il Gelsomino” occhieggiano dal comò e dalla parete sopra il divano. Per la serie: veniamo da lontano e stiamo cercando qualcuno che ci mandi un po’ affanculo. Tutti rigidi in posa si stagliano marroncini nel giallo seppia del dagherrotipo: il padre e la madre di Pieraccioni, il nonno e la nonna carrettieri, il bisnonno bracciante maremmamaiala. Ogni angolo ha il suo altarino con Lari e Penati, esibiti come divinità domestiche che vegliano dall’alto e proteggono le conserve di mele cotogne e la piscina. Che ti chiedi: ma quanti cazzo sono? E quanti nonni c’avevano questi? Una famiglia allargata ante litteram. Poi però, giù in paese, l’ostessa del Gallo pizzuto dove ti sei fermato per l’aperitivo ti apre il cuore e dice che “quelli lì” son sempre stati dei gran mangiasugo, voglia di lavorare zero, ma furbi come la faina. E ladri, soprattutto. Ladri “leccaculo” da generazioni. La sera, quando rientri alla Ginestra, guardi il nonno che veglia il tuo sonno dal comodino e ti fai delle domande.
Domande che il giorno dopo, a cena, diventano assillanti. Zuppa di ceci della casa, salumi e formaggi accompagnati dal miele – il miele delle nostre api, ti fa trionfante pieraccione – grigliata di carni rosse e bianche, verdure dell’orto, frutta dell’orto, caffè dell’orto. Il tutto innaffiato con abbondanti quantità di “quello buono”. Da leccarsi i baffi. Ma tu hai la netta sensazione che questi de “Il Gelsomino” comprino ruspantissimi stock di polli alla Coop del paese vicino e che la conserva fatta coi pomodori del Vanni sia in realtà volgare polpa pronta Cirio. Che è buonissima, ma siamo in un agriturismo dopotutto e l’asticella andrebbe un po’ alzata. Anche perchè esistono regole ben precise per accaparrarsi i Fondi europei per restaurare casali, ottenere incentivi sui prodotti biologici e comprare camicie bianche da fattore fighetto. Non puoi barare. Se lo sanno ti fanno un culo così. A poco serve mettere le foto dei tuoi “sani prodotti della terra” sul profilo Facebook de “Il Gelsomino” e cancellare i commenti al vetriolo dell’ostessa del Gallo pizzuto.
Dopo cena esci un po’ fuori, all’aria aperta. Sull’aia razzolano una decina di coppie che si godono il fresco della serata. Sembrano fatte con lo stampino: capello vaporoso e bianco, un lui in maglioncino arancio pallido e pantaloni beige, cinge i fianchi di un donnino dal mocassino basso e dallo sguardo di spillo. Parlano di vini e di arte. Quasi sussurrano. E non trombano da vent’anni.
E’ una notte odorosa quella che avvolge le coppie platoniche de “Il Gelsomino”. Respiri profondo quell’aria che sa di erba rugiadosa mentre i grilli gridano il loro peana al prato che leggermente digrada verso lo stagno. Le rane gracidano con un ritmo lento, sonnacchioso, quasi a scandire il tempo in quattro quarti. Le chiome degli ulivi sono illuminate dalla luna. Una quercia immensa abbraccia con la sua ombra nera il cortile e le stelle su in cielo sono una manciata di ghiaia gettata da un magomerlino benevolo. Proprio un gran bel posto. Pesti una merda di mulo, ma non fa nulla. Sei talmente in pace col mondo che alzi una palloccola secca di tacco, la palleggi con le tue Hogan nuove e calci di collo pieno nel buio. Lanci merda di mulo contro il cielo notturno. Ed è subito Arcadia.
D’un tratto l’oscurità viene squarciata dal candore di una camicia stirata di fresco. Il pieraccione ti sta venendo incontro e tu sei sorpreso che non suoni un’ocarina da pastorello mentre ballonzola leggiadro tra i cespugli di erica. Il paraculo! Questo non fa una cippa dalla mattina alla sera – solo il consigliere comunale del Partito democratico al Comune di Pienza – e ti spiega come dovrebbe andare il mondo. Ti dà consigli da rubrica di “Io donna”.
– Sicuro di voler tornare in città? – ti domanda retoricamente pacca-man.
– Fossi in te mollerei tutto e prenderei una cascina come questa. Altri ritmi, altra qualità della vita. Non c’è paragone.
Poi resta lì ad aspettare la tua reazione mentre guarda rapito il prato illuminato dalla luna.
PAAM! Gli assesti una robusta amichevole manata a palmo largo sulla schiena, agli antipodi della cassa toracica, proprio all’altezza dell’incavo tra le scapole. Non se l’aspettava e rimane senza fiato.
– Ehhh, magari! – gli fai sorridendo – ma come si fa… ci vorrebbe il tuo coraggio.
Vedi i suoi denti di faina scintillare nella notte.