Avenida BrasilDemocrazia brasiliana, 1985-2016

"In nome del popolo nero sterminato nelle periferie, dico no al golpe". Così il deputato federale Jean Wyllys, nella tumultuosa seduta del 17 aprile scorso, annunciò il suo voto contrario all'impea...

“In nome del popolo nero sterminato nelle periferie, dico no al golpe”. Così il deputato federale Jean Wyllys, nella tumultuosa seduta del 17 aprile scorso, annunciò il suo voto contrario all’impeachment, gridando nel microfono mentre deputati di estrema destra lo attorniavano minacciosi (qui il video).

Non stava purtroppo compiendo un abuso retorico. Nascere nel quartiere e nella famiglia giusta, avere questo o quel colore della pelle continua ad avere un drammatico impatto sulla vita quotidiana dei cittadini brasiliani.

Con il voto di oggi al Senato, che salvo clamorose quanto improbabili sorprese metterà fine al governo di Dilma Rousseff e del Partido dos Trabalhadores, si chiude una breve parentesi in cui era parso che questa spaccatura potesse iniziare a essere superata.

Ovviamente sarebbe sbagliato dipingere gli ultimi 15 anni di storia brasiliana come una trionfale stagione di progresso. Errori enormi sono stati commessi, nel merito delle scelte e soprattutto nel metodo politico, che ha visto il primo governo di centrosinistra nella secolare storia del paese fare integralmente proprie le pratiche di compromesso, lottizzazione, occupazione della cosa pubblica che hanno fatto del Brasile lo stato profondamente oligarchico che è.

Eppure, qualcosa di profondo è cambiato, se pensiamo che solo il 1° gennaio 2003, al suo insediarsi, Lula proclamò “Avrò compiuto la mia missione, se al termine del mio mandato ogni brasiliano potrà consumare tre pasti al giorno”. Estirpare la fame, era tra le priorità del governo ancora all’inizio del terzo millennio, una priorità centrata, come riconosciuto dall’ONU che nel 2014 ha tolto il paese dalla “mappa mondiale della fame”. Questo ci dà l’idea al tempo stesso di che cosa era il Brasile, di quanto è stato fatto in questi anni, delle incognite e dei pericoli che la rottura del’ordine costituzionale porta con sè.

In patria, il Ministério Publico Federal ha seriamente messo in dubbio la sussistenza dei “crimini contabili” posti a base del processo di impeachment di Dilma Rousseff. All’estero, Le Monde, New York Times, The Guardian, El Pais hanno fatto altrettanto. Il “processo” alla presidente ha mostrato più di una pecca anche sul piano procedurale. Ma ormai sarà la storia a dare il suo giudizio su questa fase. Le prime scelte del governo Temer, che da oggi perderà l’attributo “interino”, lo caratterizzano come un esecutivo reazionario, nel senso letterale del termine, tutto occupato a invertire la rotta nel campo delle politiche economiche e sociali.

Complice la narrativa dei media egemoni (Globo, Estado e Folha de São Paulo in testa), che forniscono in modo ossessivo meme da ripetere ad esaustione a una classe media ricchissima di risorse ma povera di strumenti per interpretare il paese e il mondo, si alzano più alti di prima gli steccati di classe. Ci vorrà molto tempo prima che questi tornino ad abbassarsi.

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